Paolo Giordano, Tasmania e il trauma personale e collettivo

Paolo Giordano
Paolo Giordano
di Generoso Picone
Martedì 15 Novembre 2022, 10:00
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«Per poter scrivere non bisognava prima di tutto, forsennatamente, vivere?», chiede a se stesso il protagonista di Tasmania, il nuovo romanzo di Paolo Giordano (Einaudi, pagine 263, euro 19,50), e l'interrogativo esce dall'astrazione metaletteraria per diventare il perno attorno al quale ruota la storia narrata. Dove c'è uno scrittore più o meno quarantenne, dalla collaudata frequentazione nella scienza e con una prestigiosa collaborazione giornalistica, che nel novembre del 2015 è a Parigi per seguire la conferenza dell'Onu sull'emergenza climatica e incrocia la notte del Bataclan: il rapporto con la moglie si sta slabbrando per l'impossibilità di avere un figlio, la scrittura del libro sulle immediate conseguenze prodotte dall'esplosione delle bombe atomiche in Giappone stenta, altri attentati dell'Isis stanno per colpire Berlino, incendi e alghe tossiche squilibrano irreversibilmente l'ecosistema, un virus sconosciuto e terribile presto devasterà l'intero mondo. Sente montare una crisi personale in un quadro critico globale e così attraversa quello che Jacopo Novelli, l'eccentrico e geniale fisico italiano che in Francia studia la forma delle nuvole, definisce «un tempo pre-traumatico».

Un tempo da raccontare limitandosi «ad accostare i fatti senza forzare alcun legame tra di essi, accettando che possano esistere al massimo delle corrispondenze.

E senza nemmeno tentare una conclusione morale». Perché questo è il tempo della vita, in fondo. Tasmania è il romanzo della stagione che si sta percorrendo, e sulle ferite provocate dal trauma costruisce una sintassi dell'animo umano. Il trauma, cioè ogni tipo di trauma: perché se pure non ci fosse stato quel concorso tragico di lacerazioni intime, di terrore cieco e di paure oscure, sarebbe stato comunque un altro momento di rottura nella linea dritta dell'esistenza a rivelare quanto di nascosto nelle profondità aspettava di emergere ed esplodere. Succede nelle relazioni sentimentali, nella trama degli avvenimenti sociali e politici, nel microcosmo dei rapporti personali e nelle questioni planetarie. Ferite. 

«Scrivo di cose che mi hanno fatto piangere», è l'affermazione che chiude la storia e che assume un significato decisivo legandosi a quanto Giordano aveva consegnato all'inizio: «Forse sta tutta lì la fissazione di alcuni di noi per i disastri incombenti, quell'inclinazione verso le tragedie che scambiamo per nobile, e che costituirà, credo, il centro di questa storia: nel bisogno di trovare a ogni passo troppo complicato della nostra vita qualcosa di ancora più complicato, di più urgente e minaccioso in cui diluire la sofferenza personale. E forse la nobiltà, in tutto ciò, non c'entra davvero niente». La capacità di Paolo Giordano è di maturare questa consapevolezza elaborando i materiali che aveva disposto lungo un itinerario di inquietudine e incertezze. Colui che racconta in Tasmania proviene dai territori straziati de La solitudine dei numeri primi, il suo esordio del 2008: la sofferenza di Alice e Mattia si era poi riversata nell'ambito introspettivo di un fronte di guerra in Afghanistan, con i soldati de Il corpo umano del 2012, che varcavano la linea d'ombra della giovinezza portando impressa su di loro l'esperienza del conflitto. Pareva aver trovato uno sbocco nell'utopia della rivolta rabbiosa di Divorare il cielo del 2018; ma soffermandosi su quanto la pandemia stava producendo, con Nel contagio del marzo 2022 aveva compreso che l'urto del Covid-19 stava svelando l'entità di fragilità taciute. 

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Questa diventa il campo d'azione di Tasmania, con la moglie Lorenza che tende a una praticabile felicità, il prete Karol che si innamora di una donna, lo scienziato Novelli che nella razionalità apre spazi visionari, l'amico Giulio che dopo il divorzio lotta per la custodia del figlio, la giornalista Curzia che segue la scia del terrore e si ritrova davanti al computer impietrita dalla tragedia osservata. «Secondo lei, prof, è possibile che una materia di studio prenda il sopravvento su di te?» chiede Christian, lo studente in Astrofisica al corso che tiene l'autore-scrittore: ha abbandonato il suo progetto sulle onde gravitazionali e i buchi neri perché aveva deciso di tornare sulla Terra. Se un luogo c'è, raccomanda Novelli, questo è l'isola di Tasmania, il porto franco dall'Apocalisse. Lì Nick Cave scelse di riprendere a tenere concerti dopo l'incidente occorso al figlio adolescente Arthur: «Siamo stati in un posto strano. Ora ne sto uscendo e sbatto le palpebre alla luce», disse al pubblico. Nel romanzo di Paolo Giordano questo si propone come il gesto di chi con la letteratura cerca la salvezza. Scrivere dopo aver forsennatamente vissuto.
 

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