«Le guerre non si vincono solo attraverso l'esito delle battaglie sul campo e dei compromessi diplomatici post-bellici, ma anche in virtù di piccoli fuochi di territorio (spesso trascurati) che diventano incendi sulla carta geografica dei potenti. E senza quei fuochi, gli incendi mai ci sarebbero». A scrivere è il direttore de «Il Mattino» Francesco de Core, aprendo il volume Le Giornate della Libertà. Racconti e Memoria che viene presentato a Napoli, martedì 26 alle 10 all'università Suor Orsola Benincasa, e il giorno dopo distribuito gratuitamente insieme al quotidiano nelle edicole di Roma, Napoli e Caserta (province comprese); il libro è a cura di Maria Rosaria Selo, in collaborazione con la libreria Dante & Descartes, e contiene contributi di storici, giornalisti, scrittori, intellettuali su ciò che accadde 80 anni fa, qui a Napoli, prima città europea a liberarsi da sola dal nazifascismo.
Importante, nelle parole del direttore, il passaggio su quei «fuochi di territorio», e su ciò che è contenuto tra parentesi: il lungo oblio, se non il travisamento di ciò che espressero le Quattro giornate. Perché su questo la storiografia ufficiale è ormai d'accordo: fu rivolta identitaria, autonoma, sperimentale e quindi modello per tutto ciò che verrà fino alla sconfitta di Hitler. Ma venne per decenni relegata a fenomeno minore, quasi residuo di un sanfedismo lazzarone: e invece fu il primo atto della Resistenza e il popolo napoletano, in cui si mossero partigiani e non gli scugnizzi dell'oleografia, ha il diritto di ricevere la stessa dignità di chi «andò in montagna». Come annota nell'introduzione Ciro Raia, presidente dell'Anpi (Associazione nazionale partigiani italiani) Napoli: «Vige, a dirlo meglio, un continuo tentativo forse maldestro ma, spesso, riuscito di riscrivere la Storia d'Italia; includendo, ovviamente, nella riscrittura anche la narrazione relativa alle Quattro Giornate di Napoli. Ma i giorni di fine settembre '43 non furono come più volte si è tentato ed ancora si tenta di far credere un episodio locale; essi appartengono alla grande Storia d'Italia».
Dall'inizio alla fine del volume, dopo aver letto la prefazione del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi e poi i testi di Vittorio Del Tufo e Titti Marrone, Nino Daniele ed Enzo Moscato, per rimarcare l'eterogeneità dei contributi, e poi di tante donne - Emma De Franciscis, Antonella Cilento, Carmela Maietta, Tjuna Notarbartolo, Antonella Ossorio, Gioconda Marinelli verso la conclusione, si diceva, arriva una delle prime vicende di quel settembre '43, forse la più lugubre: i fatti della vetreria Ricciardi di Ponticelli recuperata dallo scrittore Gianni Solla. Anche Napoli ha avuto il suo lager, la fabbrica in cui furono imprigionate e persero la vita 37 persone. Scrive Solla: «All'ingresso della vetreria c'è un binario. Il cervello sovrappone immagini, ma non è un difetto della percezione, è solo un riallineare luoghi e tempi. Il binario adesso è in disuso e il ferro affonda nel cemento interrompendosi come qualcosa che si è spezzato per sempre». Sembra Auschwitz, ma l'autore chiarisce: «Siamo in un punto indefinito della città tra San Giovanni a Teduccio e Poggioreale che chiamano Area Industriale».
Dalla fine al centro, per le nuove Resistenze. Gino Giaculli, per una vita firma di questo giornale, riannoda tre momenti degli 80 anni che ci separano dalle Quattro giornate. Lo fa prendendo stralci della storia culturale cittadina, i Musicanova, e della storia nazionale: il brano è ambientato inizialmente nel 1978, 35 anni dopo le Quattro giornate, lo stesso anno del delitto Moro, e si scende in strada per manifestare. Le strade, le piazze, lo spazio pubblico da cui partì la rivolta è la sola risposta che la comunità ha contro ogni potere, perciò il racconto, contrappuntato dal brano «Canto allo scugnizzo», arriva ai tempi nostri: «La bandiera bianca prof, dovrebbero alzarla camorristi e bugiardi». «In piazza, in strada a lottare per il clima». «Dobbiamo farci sentire per il nostro domani, per non andare a lavorare via da Napoli». Il testo è stato scritto prima dell'omicidio di Giògiò Cutolo. A Napoli, ora e sempre Resistenza.
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