Le radici del nostro Natale nei racconti-fiabe di Leone

Le radici del nostro Natale nei racconti-fiabe di Leone
di Titti Marrone
Martedì 24 Novembre 2020, 08:35
3 Minuti di Lettura

Parla di noi Gli struffoli di Aristofane (Langella edizioni, pagine 129, euro 12), il «cunto» in sei movimenti di Nino Leone intrecciato alle nostre radici meridionali e inserito nella cornice di altrettanti racconti di Natale. Sono sei storie ispirate alla tradizione narrativa di novellatori antichi, riferite con tono trasognato che trascorre dal particolare di vicende minutissime all'universale di suggestioni condivise a ogni latitudine.


Fin dai tempi di La vita quotidiana a Napoli ai tempi di Masaniello, indicato da Antonio Ghirelli come ottimo affresco storico-narrativo, si conosceva il talento di Nino Leone nel cogliere connotazioni significanti dai dettagli dell'esistenza materiale del popolo.


In questi racconti, quella speciale sensibilità si rivolge al vissuto dell'autore, alla sua infanzia e giovinezza tra Pomigliano, la Lucania, la penisola sorrentina, trasfigurandosi in viaggio nella memoria. I sei diversi Natali qui raccontati sono fragranti di profumi antichi, di scorze di mandarini, mandorle, nocciole impastate con il miele, e di roccocò, noccioline americane piluccate in punta di dita da coppetti di carta fatti con i fogli dei quaderni. Sono scaldati da bracieri o da pungenti coperte militari, ma gelidi come le lenzuola degli inverni meridionali quando, «per ficcarsi a letto, si faceva come coi tuffi di prima stagione: petto di rondine, un battito di mani e via in acqua! E ci si marmorizzava nell'esatta posizione di entrata».


Sono Natali meridionali con presepi di cieli azzurri fatti di carta dei maccheroni, e senz'albero: nel dopoguerra quella è una suggestione americana lontana, però già vagheggiata al punto da spingere il ragazzo Giacomino ad arrampicarsi sui dirupi sorrentini alla ricerca di un ramo, poi risultata fatale all'esule di guerra Cenzino.


Un altro ragazzo, il bambino che l'autore fu, guizza fuori dalle pagine del primo racconto scavalcando come un gatto il muro che sigilla l'hortus del giardino vicino casa, dove mille frutti gustosi colorano l'incantesimo delle stagioni.

E nell'ultimo racconto, lo stesso bambino si estasia alla magia del «goooool!» piazzato dal fratello maggiore nella porta avversaria.


Il «cunto» più bello narra, con andamento teatrale, la ricerca di uno scialle a Satriano di Lucania, nella bottega dello strepitoso mercante Giocondo, che contratta come un «commerciante greco appena sbarcato dalla nave». Il più sofferente rievoca una tavolata in osteria a Sant'Anastasia, con il nume tutelare Michele Prisco, l'amico Giuseppe Tortora, il ricordo di un favoloso convegno su Ortese e «il risveglio della ragione». E fotografa una stagione del dibattito culturale napoletano che fu felice senza che lo sapessimo.


La lingua di Nino Leone è ricca, orlata di un'opulenza barocca alla Basile che scava espressioni antiche e riesce nell'azzardo di inventarne di nuove. L'impianto raffinato coglie la forte carica vitale di un immaginario sul Sud privo di bozzettismo autocompiaciuto, accostabile alla narrativa di Mimì Rea. I proventi del volumetto, assai curato, in spessa carta seppiata, saranno in parte destinati all'Unione Ciechi di Peppe Biasco, antico compagno dell'Alfa Sud, per realizzarne la versione audio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA