Roberto Saviano cuore puro: «Il calcio metafora di vita per ragazzi teneri e spietati»

Roberto Saviano con la sua scorta
Roberto Saviano con la sua scorta
di Titti Marrone
Giovedì 17 Novembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. 18 Novembre, 07:41
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Dallo scrittore Roberto Saviano riaffiora il ragazzino Roberto Saviano: è quello dell'estasi assaporata nelle Pasquette alla reggia di Caserta tirando calci al pallone, smemorandosi in una partita senza fine come se non ci fosse domani. Il ragazzino che Saviano non ha mai smesso di essere torna in un racconto scritto dieci anni fa, ripreso in mano dallo scrittore e trasformato in romanzo, Cuore puro (Giunti, pagine 163, euro 16). Difficile staccarsi prima della pagina finale da questa storia fluidissima, tenera e spietata, comica e drammatica. Vicina, sì, ai temi prediletti da Saviano ma insieme illuminata da uno stato di grazia narrativo speciale, che rischiara la vicenda di quattro «compagnelli» dell'area Nord di Napoli, all'inizio poco più che decenni.

È un romanzo sul Male scrutato attraverso il transito, dall'infanzia alla prima giovinezza, di un quartetto predestinato - per nascita, appartenenza sociale e ambientale a un destino di delinquenza ineludibile.

I quattro lo respirano con l'aria ammorbata del quartiere, lo sentono strisciare intorno a sé prima in forma quasi impercettibile, con coinvolgimenti di piccolo cabotaggio, poi con ruoli in escalation progressiva. E però, con tecnica da non fiction novel attraversata da lampi di autobiografismo e intrecciata con fatti di cronaca, Saviano apre lo spiraglio di una possibile scelta alternativa, a favore di un atto di coraggio propiziato dalla pulizia interiore di chi sa custodire in sé almeno uno spicchio del candore dell'infanzia. I quattro ragazzini «pazzeiano» al pallone nel campo improbabile racchiuso da un caseggiato squallido sul punto di trasformarsi in piazza di spaccio.

Saviano pesca dalla propria esperienza delle partite in strada, descrive i rituali del «tocco» per l'assegnazione dei ruoli, le regole maschie della competizione, il disprezzo per i giochi dove la palla si tocca con le mani («da ricchioni»). Più ancora dei piccoli calciatori Dario, Rino, Giovanni e Giuseppe, più del capozona Tonino imperversante nel caseggiato, il protagonista assoluto è il pallone Super Santos, destinatario di una vera e propria elegia. «Era il pallone. Una sfera arancione fuoco con le strisce nere Resisteva a tutto». Carne viva palpitante dalle interiora rosate, talvolta squartato con coltello da cucina da spietate casalinghe esasperate dai ripetuti lanci sui propri balconcini, destinatario di ricerche forsennate, cure e tentativi disperati di rappezzo: il Super Santos antropomorfo descritto da Saviano è irresistibile simbolo e metafora del gioco, impermeabile a ogni imitazione, superiore perfino all'imponente pallone Tango e, nel ricordo, più amato pure dell'ambitissimo pallone quasi vero: quello di cuoio, attesissima «reliquia» regalata per la prima comunione. 

Irresistibile è il racconto del trasferimento dei quattro nella piazza Plebiscito, dopo lo «scaccione» imposto dal capozona Tonino perché il gioco disturba lo spaccio. Poi, dopo innumerevoli amputazioni a botte di pallonate dell'indice di Carlo V, l'ordine viene revocato. D'un tratto i quattro ragazzini si trovano a disporre, gratis, di una quantità infinita di Super Santos e del lusso di approvvigionarsi direttamente dal tabaccaio che li tiene sospesi nella reticella come i melloni di Natale: lo decide Tonino, che li ingaggia e li paga perché giochino e giochino e giochino nel caseggiato, fermandosi al grido di «'o pallone!» per segnalare l'arrivo della polizia. Facendo, cioè, da pali. Si spalanca così una lunga stagione felice di partite ininterrotte. E del resto, annota Saviano, «l'utopia di giocare senza fermarsi, senza fare altro, è il vero sogno del calcio». L'altro sogno, essere notati e presi come «pulcini» del Napoli Calcio, appare a portata di mano, ma il destino apparecchiato per loro rivendicherà il proprio diritto, inchiodandoli a giocare ancora nell'ombra racchiusa dai quattro palazzi. Finché il più appassionato tra loro, in nome dell'estetica di un tiro, s'inceppa, commette l'errore di «addormentarsi in trincea»: quel giorno tramonta la loro innocenza, termina l'infanzia.

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Ritroveremo i ragazzi qualche anno dopo, arruolati come «pulcini» ma del clan, e incaricati del trasporto di un cuore umano per un trapianto clandestino. Intorno a quel viaggio vengono al pettine i nodi delle loro vite. Saviano mischia memorie d'infanzia e invenzioni con vicende di cronaca, come la gambizzazione del giornalista Luigi Necco per aver denunciato in tv, a «90° minuto», l'omaggio d'oro del patron dell'Avellino, Antonio Sibilia, a Raffaele Cutolo. E ci induce a scrutare ancora una volta nel cuore di tenebra dove sprofonda un aspetto della nostra realtà, ma cogliendovi il bagliore vincente irradiato da chi non rinuncia alla propria umanità. 

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