Caravaggio, viaggio al termine della bellezza secondo Cappuccio

Caravaggio, viaggio al termine della bellezza secondo Cappuccio
di Generoso Picone
Martedì 14 Settembre 2021, 07:38
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Quella che Ruggero Cappuccio racconta in Capolavoro d'amore (Feltrinelli, pagg. 279, euro 16) è una storia di scomparizioni. «Che maledizione è questa? Forse sto veramente diventando pazzo. Qui tutto scompare» ripete a se stesso sgomento Manfredi Lanza, antiquario quarantenne ritornato a Palermo dopo otto anni vissuti lontano, il protagonista del romanzo dello scrittore-drammaturgo. È in fuga da un dolore nero che l'ha segnato nel profondo, da una ferita che non vuole rimarginarsi. Anche lui è scomparso, in fondo: «Perché sono un isterico. E come ogni isterico, come ogni isterica, come Palermo, trovo la mia gloria nell'assenza di qualcosa o nell'assenza di qualcuno». Ma, ora che si ritrova immerso e prigioniero nelle maglie dei ricordi, dei fallimenti, dei fantasmi del tempo che il destino gli impone di identificare, deve riconoscere di essere abitato da una perversione in più: «Volevo nascondermi a me stesso».

Il punto centrale nella città delle sparizioni, una Palermo di straordinari palazzi nobiliari e affollati vicoli della Vuccirìa, antichi splendori scrostrati e contemporanee miserie urlanti, un luogo che ha cancellato la sua declinazione al futuro e in cui si respira un'aria gattopardesca e un'inquietudine sciasciana, è una cornice vuota. Qui, per 360 anni fino alla notte tra il 17 e il 19 ottobre 1969, all'interno dell'Oratorio dei San Lorenzo si poteva ammirare la «Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi» di Caravaggio. «U quatru», il quadro per eccellenza, l'immensa opera dell'arte di Michelangelo Merisi, tanto noto al mondo quanto pressoché invisibile a Palermo e a chi la governava, la cui tela venne tagliata lungo i bordi senza che fosse stata predisposta una guardianìa, una protezione, men che mai un sistema di allarme.
 

Leonardo Sciascia narrò il paradosso tragicomico con il sarcasmo del siciliano offeso e indignato in Una storia semplice. Mauro De Mauro su «L'Ora» indagò arrivando a denunciare la responsabilità di Cosa Nostra nella faccenda e pure per i suoi articoli avrebbe pagato un costo altissimo: la sua scomparsa. Il caso sarebbe riemerso anche durante il procedimento per la trattativa Stato-mafia e nel 2018 Gaetano Grado sosterrà che Tano Badalamenti ordinò di sezionare l'olio su tela caravaggesco per trasferirlo in Svizzera. Un mistero che resta tale, a 450 anni dalla nascita di Caravaggio.

Il misfatto era avvenuto a pochi sguardi di distanza dall'abitazione di Rolando Levrone, anziano zio di Manfredi, straordinario musicista in grado di competere con Arturo Benedetti Michelangeli che ha deciso di non suonare più in pubblico il pianoforte per ritirarsi - scomparire - nel culto della solitudine e del suo amore perduto, la moglie Eugenia conosciuta proprio davanti allo spazio vuoto dell'oratorio di San Lorenzo mentre provava a riempirlo con il disegno della «Natività». È lui ad aver provocato il ritorno di Manfredi per consegnargli la sua confessione, lo snodarsi della sua vita nelle più fitte e sofferenti pieghe scandito come in una seduta psicanalitica.

Per liberarsi da un'ossessione aveva richiamato il nipote, il quale da Palermo era andato via dopo essere stato abbandonato dall'amata Flavia, un addio improvviso voluto dai canoni borghesi della famiglia della ragazza, inspiegabile secondo i paradigmi autentici della passione.

Cappuccio si immerge nel groviglio con una trama che prende le mosse dal suo «Le ultime sette parole di Caravaggio», dramma scritto e diretto nel 2009 che è appunto l'anno in cui dal 19 settembre per 36 giorni di «accelerazione furiosa» - la vicenda di Capolavoro d'amore si svolge. Bordeggia il cosiddetto canone del cruciverba di Sciascia, della scomposizione e della ricomposizione dei fatti nel campo narrativo per conferire, una cifra civile alla pagina: pare misurarsi con l'intrigo servendosi dei principi per altro esposti della teoria della sincronicità di Jung e potersi interrogare sulle ingannevoli strategie dell'inconscio. Nel doppio registro adottato, lo sguardo all'interno di sé e all'esterno sulla realtà, entrando e uscendo dal passato, Cappuccio conferma l'attenzione vigile e severa sui buchi neri di una storia che non è soltanto siciliana ma nazionale. Ciò si riscontra nei riferimenti onomastici, con Manfredi che ha il nome di Manfredi Borsellino, il figlio di Paolo a cui Ruggero Cappuccio aveva dedicato nel 2016 Paolo Borsellino. Essendo Stato, nelle ambientazioni che rimandano puntualmente a Giuseppe Tomasi di Lampedusa e alla sua epica della decadenza, nell'omaggio all'amico Franco Battiato e alla sua idea di appartenenza e liberazione, nella constatazione amara che «la città criminale lavora per la città perbene»: «Il furto di questo quadro, per esempio, non è solo la sottrazione di una tela. È un poema sulla bellezza perduta, un racconto su quello che non siamo in grado di proteggere».

Quindi, quasi al termine del suo viaggio nelle sparizioni alla ricerca di sé, ecco la verità che si profila nitida: nella danza della bambina siriana che come un'Artemide sbandata vaga per Palermo per ricongiungersi al profilo di uno degli angeli della «Natività».

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