Un uomo sulla cinquantina in vestaglia e pantofole, capelli grigi, si alza dal letto, va alla finestra, la apre, guarda fuori, chiude la finestra, tira le tende. Va alla porta di casa e idem. Va alla porta dell'armadio, la apre, guarda dentro, la chiude. Torna verso il letto, guarda di sotto e si perde nei suoi pensieri. È la prima scena della pièce di poco meno di mezzora «Eh Joe!» scritta da Samuel Beckett nel 1966 apposta per la tv britannica Bbc e andata in onda l'anno dopo. Il testo era introvabile e adesso, insieme a tanti altri, è di nuovo disponibile nel Meridiano tradotto e curato da Gabriele Frasca Romanzi, teatro e televisione (pagine 1940, euro 80) dedicato al premio Nobel per la letteratura 1969.
Tra le opere da tempo scomparse dal mercato italiano, qui per la prima volta commentate e raccontate nella genesi e nella storia delle diverse rappresentazioni e fortune di pubblico, ci sono altre, come «Eh Joe!», scritte appositamente per la televisione, portatrici di una potenza creativa per la prima volta esplorata a fondo. «La televisione aspettava Beckett come un destino. Ma perché potesse bonificare l'immaginario televisivo, come aveva scarnificato quello letterario, l'autore non poteva per prima cosa che contrapporre scientemente, come aveva fatto nei suoi ultimi radiodrammi, «l'invisibile neutralità dello spazio radiofonico» e le «vivide evocazioni della fiction"», scrive Frasca citando Ruby Cohn.
Joe, barricato in camera, inizia un dialogo serrato con la sua voce interiore che impietosamente gli ricorda tutte le donne abbandonate e il perché: la paura di amare e di costruire un rapporto solido. Al di là della trama, a colpire sono le indicazioni di regia, all'avanguardia per l'epoca, pensate da Beckett. Mano mano che si sviluppa il racconto la telecamera avanza vero il volto dell'attore muto. Comincia a una distanza media e finisce con un primo piano sparato su occhi e zigomi, primo piano che la televisione dell'epoca sconsigliava ma Beckett fu irremovibile. Lo spettatore doveva entrare letteralmente nella testa del suo Joe e il suo volto, con le tv dell'epoca che erano bombate, doveva finire in salotto. Il primo a rappresentarla, l'attore irlandese Jack MacGowran, disse che furono «i più terribili venticinque minuti della mia vita».
Le opere scritte per la tv «sono le meno note in Italia e le più entusiasmanti. Io li definisco videodrammi. Furono pensati per il piccolo schermo e nacquero dal ragionamento su come usare al massimo le tecniche offerte dalla televisione sfruttata come strumento creativo al pari della letteratura più nobile e del teatro più impegnato, ossia per stranire, per destabilizzare, insomma per indurre a pensare e per evitare una visione passiva. Con Beckett la televisione, che allora muoveva i suoi primi passi verso l'anestesia di massa, fu utilizzata come pochi sarebbero riusciti a fare in seguito».
Tra i romanzi del Meridiano ci sono Come è e Watt. Il primo mancava dalle librerie italiane dal 1980, con l'unica traduzione che risale al 1960. Racconta, in un mondo ridotto a mero fango, di un uomo che striscia e ascolta una voce giunta dall'esterno, almeno fino a quando non incontra un altro cui estorcere il racconto della vita perduta. In Watt, scritto durante la Seconda guerra mondiale, l'eroe eponimo ha accettato di andare a servizio del signor Knott. Al suo arrivo il servo che lavora al primo piano passa al secondo e il secondo se ne va non prima di aver raccontato la sua esperienza in casa Knott a Watt. Watt servirà dunque al primo piano e lo farà fino all'arrivo di un ulteriore servo, per cui passerà al secondo e via così.
Le opere teatrali di Beckett, ancora tanto rappresentate in Italia, stavolta sono state tradotte da Frasca dalle ultime edizioni corrette da Beckett. Ancora oggi i testi messi in scena in Italia, compreso il celebre Aspettando Godot che nel Meridiano ha note in cui si chiariscono per la prima volta rimandi, allusioni e sottintesi mai sottolineati prima, sono pieni di errori e inesattezze a dimostrazione, sottolinea Frasca, che «il mercato editoriale italiano rimane il più restio ad accogliere la produzione di un autore che è considerato in tutta Europa il più importante del secondo Novecento e che amava la nostra lingua e la nostra cultura».
La scrittura di Beckett può apparire complessa «ma non è così. È di grande semplicità solo che bisogna uscire fuori dalle convenzioni. In Italia siamo abituati alla storiella fine a sé stessa, al maledetto storytelling. Beckett racconta per farci capire la realtà e questo spaventa».
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