Se la scienza mozza il fiato: diciannove sguardi sul sublime

Matthew McConaughey in "Interstellar" di Cristopher Nolan (2014)
Matthew McConaughey in "Interstellar" di Cristopher Nolan (2014)
di Cristian Fuschetto
Martedì 19 Maggio 2020, 20:55
5 Minuti di Lettura
Nulla è più stupefacente della realtà se non i tentativi di comprenderla. E forse è per questo che la ritrovata centralità della scienza nel discorso pubblico causa risveglio (fifa?) da pandemia è solo l’ultima ragione per avvicinarsi oggi a un libro di scienza. La scienza rende visibile l’invisibile, non è e non può essere quindi l’urgenza di dare peso alle parole l’unica ragione per sfogliare un libro di scienza. Relegare no vax e terrapiattisti tra i fenomeni da baraccone ci sta, ma le ciarlatanerie sono la prosa del mondo con cui purtroppo occorre fare i conti, ed anche le ciarlatanerie in fin dei conti hanno una propria ragion d’essere. È piuttosto l’emozione di poter guardare le cose con occhi sempre rinnovati, è la poesia del mondo quello che la scienza può restituirci. Essa può regalarci un insospettato rispetto per il genere umano, ed è innanzitutto per questo che merita la nostra attenzione. Lo sapeva bene Primo Levi.
 
Un libro per “Leggere la terra e il cielo”
«Il cielo non è semplice, ma neppure impermeabile alla nostra mente, e attende di essere decifrato. La miseria dell’uomo ha un’altra faccia, che è di nobiltà». Levi scrisse queste parole in La ricerca delle radici (1981) commentando l’articolo di un giovane astrofisico. Il promettente scienziato era Kip Thorne, poi divenuto celebre non tanto per il Nobel conquistato per quegli studi, ma per aver contribuito alla sceneggiatura di “Interstellar” (qui un video di Rai Scuola su La scienza di Interstellar), capolavoro d’arte e per l’appunto di scienza, due ambiti che non siamo così avvezzi a considerare intrecciati ma che allo sguardo di intellettuali come Primo Levi, ma anche di Italo Calvino, risultavano profondamente uniti. Un’occasione per godere anche noi, che non siamo né Levi né Calvino, del “sublime scientifico” ce la offre oggi Francesco Guglieri in Leggere la terra e il cielo, di recente pubblicato da Laterza.
 
Un inedito sublime fa irruzione nel teatro del mondo
Cos’è il sublime secondo Kant? Non so se lo è ancora oggi, ma fino a qualche tempo fa questa era nella top five delle domande che al liceo facevano i prof di filosofia. Kant fa del concetto di sublime una specie di viatico verso l’impossibile, il sublime è l’incomparabile, e spiega che ne esistono di due tipi. C’è il sublime dinamico, quando la natura manifesta la sua potenza attraverso terremoti, tempeste e fenomeni di fronte ai quali avvertiamo di essere poco più di niente. E c’è il sublime matematico, l’infinito delle stelle e degli spazi cosmici. In entrambi tocchiamo con mano un’enorme piccolezza, la nostra, riscattata tuttavia dalla capacità umana troppo umana di riconoscerla. Al cielo infinito fa da contraltare la legge morale, si sa. In questo libro Guglieri ci prende per mano e ci porta a spasso nel sublime scientifico, vale a dire in «aspetti della realtà che lo sguardo della scienza degli ultimi due secoli ci ha messo di fronte mentre ridefiniva i confini dell’universo che abitiamo».
 
Quello che sappiamo (e soprattutto ignoriamo)
Oggi sappiamo che il 95% per cento dell’energia e della materia che compongono l’universo ci è letteralmente oscura, esiste ma non interagisce con la materia di cui siamo fatti, sappiamo che ci sono cose lassù come i buchi neri e sappiamo che questi oggetti sono così densi da curvare lo spazio e il tempo, ecco a differenza di Kant sappiamo anche che lo spazio e il tempo non sono condizioni di possibilità della conoscenza, “forme a priori” della nostra mente, ma sono forze fisiche divenute nel frattempo relative, sappiamo addirittura che nel mondo piccolissimo o sul bordo dei buchi neri il tempo potrebbe persino non esistere (qui un video in cui Carlo Rovelli spiega che il tempo non esiste), che a livello delle particelle quantistiche tra passato e futuro non c’è differenza perché quello che conta è solo la relazione tra le cose e non il verso del loro accadere, e poi in barba a tutto questo, a tutta questa aleatorietà del tempo, sappiamo approssimare la data di nascita dell’universo (un po’ meno di 14 miliardi di anni) e della vita sulla Terra (circa 4 miliardi di anni), e sappiamo anche che le forme “infinite e meravigliose della vita” seguono logiche estranee alla scimmia nuda, sappiamo che non siamo lo scopo della natura, che il sapiens è una delle tante specie umane che la storia ha conosciuto, che c’è stato un tempo in c’erano più specie umane, che il pensiero non è solo degli umani, che è anche degli animali e da qualche tempo delle macchine. Sappiamo tutto questo anche se, a dire la verità, lo sanno in pochi perché per gran parte di noi tutte queste sono cose tutt’oggi solo intuibili se non bellamente ignorate.   

Piccola biblioteca sull’universo (e su noi stessi)
Il nuovo sublime portato in dote dalla scienza alla contemporaneità è descritto da Guglieri attraverso diciannove libri che formano una piccola ma essenziale biblioteca per innamorarsi della realtà e degli uomini che a loro volta se ne sono innamorati, a volte ossessionati. Per quanto semplice, anzi proprio per questo, l’dea di tracciare dei segnavia di “Letteratura scientifica per non scienziati” funziona, e così è possibile leggere la terra e il cielo attraverso i classici di Stephen Hawking, Douglas R. Hofstadter, Carlo Rovelli, Stephen Jay Gould, Oliver Sack, Steven Weinberg, Leonard Susskind, Kip Thorne, James Gleick, Rudy Ruker, Jimm Baggott, Richard Dawinns, Stefano Mancuso, Desmond Morris, Yuval Noah Harari, Andrea Wulf, David Quammen, Elizabeth Kolbert e Amitav Gosh. Sono best seller, long seller, libri cult, quasi sempre libri molto citati e sovente mai letti del tutto.
Ecco, il libro di Guglieri offre due possibilità: approfittare di un solo libro per reggere conversazioni su diciannove classici, oppure lasciarsi sedurre da tanta insospettata bellezza e provare a misurarsi con gli originali e, perché no, andare anche oltre quei diciannove sentieri. 
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