«Sessantotto. Cani Sciolti», Gianfranco Manfredi ​fuori dai canoni

«Sessantotto. Cani Sciolti», Gianfranco Manfredi fuori dai canoni
di Erminia Pellecchia
Sabato 12 Maggio 2018, 20:46
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Un fumetto che suona, perché il racconto è scandito dalla musica, cartina di tornasole di quella stagione di cambiamento, sociale, politico e di costume, racchiusa in una data, il '68, e del sogno di una generazione che scende in campo, che vive vorticosamente e controcorrente, che partecipa in diretta agli eventi che accadono, inconsapevole di scrivere, col proprio quotidiano, dal basso, la storia collettiva. Ed è un fumetto fuori dai canoni della Bonelli l'emozionante “Sessantotto. Cani Sciolti” di Gianfranco Manfredi, cantautore, scrittore e sceneggiatore milanese che quell'esperienza l'ha attraversata e che ora la racconta, con le sfumature emotivo-evocative del bianco e nero (efficace l'alternanza tra flash back e flash forward) delle matite e chine di Luca Casalanguida. Classe 1976, il disegnatore di Lanciano si è imbevuto delle testimonianze raccolte dal vissuto reale e dalle cronache, facendole proprie e trasmettendo al lettore uno spaccato della Milano dei moti studenteschi e dei luoghi di incontro della “meglio gioventù” anticonformista e contestataria: bar – come il celebre Magenta - latterie, trattorie, cinema, balere, negozi di dischi. «Una Milano in parte scomparsa, ma qui ricostruita con scrupolo – dice Manfredi – Una Milano assai poco da cartolina, fatta di interni a contrasti in bilico tra palazzi altoborghesi e case popolari di ringhiera».

Difficile dare una definizione a questo intenso volume-affresco uscito in occasione del cinquantenario del '68 (presentazione in anteprima al Salone del Libro di Torino, in libreria dal 24 maggio) e che battezza “Audace - il riferimento è al marchio storico di Giovanni Luigi Bonelli - la neonata etichetta della casa editrice meneghina dalle tematiche e i toni meno pop e più maturi. Un'opera corale scandita in due episodi, a cui dovrebbe seguire una miniserie in ottobre. Ha la veste di un graphic novel e l'ossatura di un “dramedy” in cui si narrano le gesta, gli amori, gli smarrimenti di un gruppo di studenti che si incontrano durante le prime occupazioni di licei ed università e che vivono – spiega Manfredi – l'impegno politico da cani sciolti, cioè senza far parte di gruppi organizzati, semplicemente partecipando alle lotte sociali, alle esperienze e ai sogni della loro generazione. Vent'anni dopo si ritrovano - circostanza una mostra rievocativa del Sessantotto – e sarà l'occasione per tracciare un bilancio del loro percorso e dei mutamenti avvenuti nella loro esistenza”. Capitolo primo: la Statale occupata e sgombrata dalle forze dell'ordine, il sit-in di Largo Gemelli, il trappolone della polizia armata alla Cattolica, botte e fughe, manifestazioni e slogan come quel “Vietato vietare”, leit-motiv di un'utopia, che in quei giorni frenetici, sembrava possibile. In questo scenario si incroceranno i protagonisti: il ribelle Deb, padre costruttore e mamma casalinga; la mora dagli occhi blu e dal temperamento indipendente Lina; l'idealista Pablo, figlio di un ex partigiano; il sensibile Milo, gay non dichiarato, l'ambizione di diventare cantautore, papà ignoto e il cordone ombelicale mai tagliato con la mamma; Turi, studente espulso per indisciplina, indossa il giaccone alla Steve Mcqueen come una bandiera; Marghe, rampolla di una famiglia blasonata, cresciuta dalla tata Benedetta, pronta a combattere la sua rivoluzione da ricca e perciò più difficile. Ambienti e stili di vita differenti, sintonizzati, però, sullo stesso fuso orario del “nuovo”, Manfredi li tratteggia alla grande, mettendo a fuoco il punto di vista dei ragazzi e quello dei genitori per rimarcare lo scontro generazionale che segnò la rivoluzione del '68.

A far da trait-d'union dello scatto temporale è – geniale invenzione narrativa - è il fotoreporter Italo Rossini, cane sciolto anche lui, ribelle alle convenzioni. Li immortalerà in uno scatto, belli col pugno alzato; li cercherà vent'anni dopo, sul fil rouge del “com'eravamo”- “come siamo”. Operazione amarcord? «No – sottolinea Manfredi – Ho cercato di tenermi lontano dal celebrativismo, utilizzando anche l'ironia. Ed ho provato a fare una cosa diversa; forse non sarà migliore di altre sul tema, semplicemente aggiunge il mio sguardo ad altri sguardi».
 
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