"Vagamente Procida", i racconti di Antonio Carannante sull'isola di Arturo

L’isola è una nave perennemente all’ancora

La copertina del libro di Carannante
La copertina del libro di Carannante
di Giovanni Chianelli
Giovedì 2 Febbraio 2023, 09:32
5 Minuti di Lettura

L’isola ti fotte”. E lo fa proprio nel momento in cui “ti senti di essere davvero felice in questo pezzettino di terra sul mare, è lì che ti stanno fottendo a sangue”. Oppure “Ma poi l’isola fa il suo gioco, ti afferra, e t’inghiotte e sopisce ogni inquietudine”. Cosa è un’isola? Una nave “perennemente all’ancora, sbarcarvi ti dà sempre l’intrigante sensazione che, miracolosamente, nulla di sgradevole potrà mai accaderti”, dunque una palese trasfigurazione dell’Eden, o una prigione, dove il mare “cresce come il rancore”, il luogo della malinconia e dell’impossibilità di fuga, che se avviene è comunque colpevole?

I personaggi della raccolta di racconti “Vagamente Procida” (Graus) di Antonio Carannante, che dell’isola è assessore nella vita amministrativa e cantore in quella di ogni giorno, nel luogo caro a Elsa Morante nascono e tornano.

Scoprono Procida e ne scrivono, la osservano con nuovi occhi e qualche volta la maledicono. “Quell’isola era sostanzialmente smarrimento” dice il protagonista di “Il pomeriggio più lungo”, la penultima delle storie. Possono amarla e odiarla, anche al contempo, ma sanno che l’isola, e soprattutto un luogo come l’isola di Arturo, continuerà a segnare le loro vite, lo vogliano o meno.

L’autore ha messo come sottotitolo al volume “Guida inaffidabile sulle tracce dell’isola” e già questa è una dichiarazione di intenti. Leggendo le vicende della scrittrice Lara e di Renzo, attore dal successo rinnegato, di un comandante di nave e del suo giovane allievo, di Vincenzo, che dopo una vita da professionista in carriera una volta licenziato ripara nel luogo di nascita e si sorprende che nessuno lo riconosca più, di Gabriele, ribelle e rapinatore, un avventizio che “non conosceva l’isola d’inverno, anche se sin dall’istante in cui era sbarcato aveva capito che lì, quando compare il sole, le stagioni si annullavano d’incanto”, si riconosce presto l’unità della voce di Carannante. Come se avesse pensato che l’unico modo per tentare il racconto impossibile di un posto come Procida, riluttante a far parlare di sé, fosse scomporsi in diversi personaggi e aggredire la materia da molteplici punti di vista. E questa maniera, per così dire cubista, è l’unica strada utile a riscattare il proprio smarrimento.

Uno smarrimento davanti all’isola che cambia, pur provando a restare sé stessa. La guida inaffidabile si rivela presto un documento narrativo degli ultimi tempi in cui il luogo immobile e affezionato alla propria immutabilità cede, dopo una valorosa resistenza, al nuovo millennio. Procida di cui si parla in tv e Procida dove i telefoni non prendono bene, Procida scoperta dai turisti e Procida dalle vie anguste per i taxi, Procida senza ospedale e Procida sui social, da capitale.

Dei vari racconti, tutti gradevoli, tutti di pregevole confezione, colpisce il primo, che è un manifesto di ciò che il lettore troverà nel volume: un gioco “en travestì” ed ecco che l’autore si trasforma nella scrittrice incaricata di scrivere dell’isola. Possono seguire gli altri, a partire dalla storia dell’attore inquieto, lo stesso che ama i film che dopo pochi giorni non si trovano più in sala e perciò immagina di realizzare proprio a Procida una rassegna di pellicole orfane del cinema, che si batte perché l’isola abbia il proprio nosocomio. Dopo qualche pagina si capisce che il riferimento è a Libero De Rienzo, scomparso da poco in qualche deandreiana “storia sbagliata”, i cui occhi dolci e l’amore per il posto gli isolani ricorderanno per sempre. Poi il comandante che, nota giustamente Filippo La Porta nell’introduzione, sembra uscito da La linea d’ombra di Conrad o a scelta da “I muscoli del capitano” di Francesco De Gregori; in pieno fortunale dice: “Ordino di mantenere saldo il timone al centro e proseguiamo. Sono diffidente, io”. Della storia di Vincenzo si apprezzano i passaggi descrittivi, del già citato “Il pomeriggio più lungo” quello che l’autore felicemente chiama l’oblio del traghetto: “Prima dell’estate la gente che parte per le isole non è molta, fatta eccezione di qualche viaggiatore, spesso straniero, e così ci si può prendere anche la libertà di occupare più posti e farsi baciare dal sole in pieno, spesso lasciandosi andare in un sonno leggero. (…) E pensare che c’era chi lo prendeva per andare al lavoro tutti i giorni”. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA