Vittorio Macioce pubblica il suo primo romanzo «Dice Angelica» e prende spunto da Tik Tok

Vittorio Macioce pubblica il suo primo romanzo «Dice Angelica» e prende spunto da Tik Tok
di Alessandra Farro
Martedì 14 Settembre 2021, 13:34
5 Minuti di Lettura

«Io sono ossessionato dall’“Orlando Furioso”, che di per sé è un’ossessione», spiega Vittorio Macioce, caporedattore ed editorialista de “il Giornale”, parlando del suo primo romanzo, “Dice Angelica”, edito da Salani, in cui a raccontare la storia di Ariosto non è l’eroe, ma, appunto, Angelica. Macioce si cala nei panni di un’adolescente a cui non è mai data parola e lo fa attualizzando il racconto, arricchendolo di citazioni pop, e, soprattutto, ponendo una domanda a cui risponde in 300 pagine: cosa ne pensava Angelica dell’amore che Orlando provava per lei? Qualcuno se l’è mai chiesto?

Come nasce l’idea di dar voce ad Angelica?
«Ho sempre considerato l’“Orlando Furioso” un classico pop della nostra letteratura che, come struttura, può essere paragonato a un videogame spettacolare: ha questa forza di penetrazione nella cultura italiana, tanto che quattro personaggi minori sono diventati degli aggettivi. Aveva successo sia nelle corti rinascimentali che nelle piazze. Innanzitutto, quindi, sono stato spinto da un grande amore per l’“Orlando Furioso”, preso da Calvino. Poi ho avuto bisogno di scegliere un punto di vista da cui raccontare la storia. Per affinità avrei scelto Astolfo – lo sento vicino alla mia personalità: il paladino inconsapevole della sua forza e magia – però, a un certo punto, mi è venuta l’idea di dare voce al motore di questa giostra, che anima tutti i personaggi, ma non ha mai detto la sua e così sono arrivato ad Angelica. La sua voce era particolarmente interessante perché si trattava del punto di vista femminile. Mi sono messo alla prova e ho deciso di confrontarmi con lo sguardo di una ragazza adolescente che si muove nel mondo in cerca di un posto, ma che, per quanto si muova, resta sempre ferma, il che, tra le altre cose, mi sembra un percorso piuttosto attuale per i giovani».

Lei riesce a immedesimarsi perfettamente in una donna.
«È stato molto faticoso trovare la voce di Angelica. All’inizio non la sopportavo e mi stava facendo impazzire, come capita a tutti quelli che hanno a che fare con lei, poi a un certo punto me ne sono innamorato anche. Però, confesso una cosa: per capire come ragiona una ragazza di 16 anni sono andato per un periodo a vedere i Tik tok e ho scoperto che non sono soltanto delle scene ripetute e interpretate in maniera personale – il che ricorda molto la chansons de geste, che sono storie codificate che ognuno racconta a modo suo. Queste ragazze, che raccontano se stesse su una sorta di palcoscenico improvvisato, mettono a nudo una delle caratteristiche di Angelica, che in gran parte si basa sull’immagine ed è proprio questo uno dei motivi del suo viaggio: trovare le parole perdute della madre.

Si rende conto di essere incompleta, dopo il cinismo e il disincanto iniziale, in cui sfrutta la sua immagine per trarne vantaggio, si rende conto, poi, di essere vuota. Tik tok mi ha fatto capire un certo modo di ragionare, come ci si pone come ragazza-immagine. Poi, appunto, Angelica cresce e si rende conto che questo mondo di eroi, in cui vuole trovare un posto, è un mondo finto, fatto di pupi. I suoi eroi la deludono, è come conoscere un personaggio famoso e scoprire che sotto la maschera non c’è niente, che è un pupazzo. Infatti, poi si innamora di un semplice fante, che incrocia mentre è quasi moribondo».

Che studio c’è dietro questo romanzo?
«“Orlando Furioso” e “Orlando Innamorato” sono una giostra, usando soltanto la voce di Angelica mi sarei perso gran parte dell’innamorato e del furioso. Ho dovuto utilizzare Angelica per i capitoli dispari e il narratore per i pari. Tutto, comunque, come ho già detto, parte da un’ossessione; quindi, mi ci sono buttato dentro completamente. Sono partito da Calvino, dal teatro di Ronconi che fu trasmesso in tv alla fine degli anni Settanta. Poi, mi sono posto una serie di domande, per esempio: da dove viene l’ippogrifo? Ecco. L’ippogrifo Ariosto lo ruba da Luciano di Samosata, che è il vero inventore dell’animale. Ariosto lo recupera nel suo tempo e lo porta avanti fino ad Harry Potter. Luciano è abbastanza copiato, in effetti: è anche il primo a scrivere del viaggio sulla luna ed è anche l’inventore del gioco logico per cui l’unica cosa vera che dico è che è tutto falso. È un grade giocatore, Ariosto, si diverte a prendere quello che c’era prima e a dargli un nuovo vestito. Mentre scrivevo, mi divertivo. Ho scoperto anche altre cose, per esempio che l’iconografia dell’Orlando come il più forte dei paladini, nella chansons de geste si contrappone alla sua figura poco avvenente: Orlando ha un occhio morto ed è strabico. Questo mi ha dato l’opportunità di spiegare perché Angelica rifiuta la corte e l’amore di Orlando, dice che è brutto e che a lei piacciono i biondi, siccome è una ragazzina non è strano che dica così».

C’è un ricco sottotesto: il libro è pieno di citazioni.
«In effetti, c’è un sottofondo di citazioni. Nel mondo della letteratura i tempi si mischiano e ho immaginato un giovane marinaio che, invecchiando, diventa il capitano Achab di “Moby Dick”. Poi, nel capitolo “La fontana dell’amore” c’è un passo di “Disperato erotico stomp” di Lucio Dalla. Poi, uno dei passi più belli del libro, che hanno attribuito a me, è un passo sull’amore preso da “Água de Março”, la bellissima canzone brasiliana. A esser onesto, ogni pagina nasconde una citazione o mia, personale, o letteraria».

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