Voci del dizionario etimologico e storico del napoletano, questo sconosciuto

A dimostrazione della ricchezza e della creatività espressiva del napoletano basta leggere la storia del suffisso «one»

Una scelta del racconto dei racconti di Garrone
Una scelta del racconto dei racconti di Garrone
di Ugo Cundari
Sabato 4 Febbraio 2023, 10:00
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La parola napoletana «tabbacchèra», di significato facilmente comprensibile, indica una scatola che contiene tabacco, come nel detto «chiacchiere e ttabbacchere de lignamma, lo banco no nne impigna», nel senso che le promesse inattendibili o fatue richiedono scarsa considerazione, insomma il banco non impegna cose di poco valore. Ma «tabbacchèra» ha anche secondi significati, per esempio di organo sessuale femminile o di culo come attestato in un libretto di fine Settecento firmato da Giovan Battista Lorenzi in cui c'è l'espressione: «Te vo sposà senz'auto / O te fa scamazzà la tabacchera».

Parola dialettale più antica per indicare l'ormai espostissimo lato B è, però, «tafanàrio», comparsa nel 1601 in una lettera di Cortese, l'autore della Vaiasseide, al suo amico fraterno Basile ancora lontano dal pubblicare Lo cunto de li cunti.

Nella pirotecnica immaginazione di Cortese certi «uocchie chiu belle de tafanario/ ponno fare luce a meza Napole». Fino a un paio di secoli fa, chi era preda di una smania irrefrenabile poteva dire di avere «lo tafanario che m'abbrucia». La possibile spiegazione etimologica si basa su un arabismo di mediazione iberica, «tafar», che significa «sottocoda». 

«Tabacchera» e «tafanario» sono due delle 150 parole commentate e analizzate in Voci del dizionario etimologico e storico del napoletano, che oggi arriva in libreria per l'editore fiorentino Cesati (pagine 686, euro 46) a cura di Nicola De Blasi e Francesco Montuori, alla guida di una équipe di sette linguisti che ha come scopo quello di portare a termine in una decina di anni il più imponente progetto di studio e ricerca sulla nostra lingua nella sua evoluzione dal XIV secolo fino ai giorni nostri.

In preparazione c'è l'analisi di dodicimila voci approfondite nel significato, nelle citazioni letterarie scovate in oltre mille testi, nella diffusione, nell'origine, nei riferimenti extraterritoriali, nei confronti con l'italiano, nei rinvii ad altre voci dialettali. A partire da dicembre i risultati saranno mensilmente pubblicati su un sito apposito, ancora da costruire. In forma cartacea, a questo volume ne potranno seguire altri cinque o sei ma tematici, dunque il dizionario completo si troverà solo su web e servirà anche a ricostruire «gli intrecci di lingua e di cultura che hanno caratterizzato la vita della città nel corso del tempo».

Le 150 voci selezionate sono una parte di quelle che iniziano con la lettera «T», perché la consonante, «al pari di poche altre, presenta in napoletano una sicura stabilita fonetica (e quindi grafica), che, per esempio, non appartiene alla D, alla B, alla G, che, come si legge nelle grammatiche del dialetto, in alcuni contesti si presentano rispettivamente come R, come V o come semivocale J: o rito, e ddeta; a varca, e bbarche; a jatta, e ggatte». 

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In questo volume, in cui alcune voci occupano mezza pagina e altre una quindicina, è curiosa la storia della parola «taccagno». In napoletano significava un tempo non solo «avaro» ma anche «infame», poi quando «taccagno» si è diffuso in tutta l'Italia nel suo significato che ancora oggi intendiamo, in napoletano troviamo documentata un'altra parola, «taccagnoso», con la quale si intende una persona attaccabrighe, fastidiosa, cavillosa. È come se la lingua viva napoletana avesse voluto riprendersi la parola, deformarla e assegnarle un significato di nuovo tutto suo.

A dimostrazione della ricchezza e della creatività espressiva del napoletano basta leggere la storia del suffisso «one», generalmente utilizzato per esprimere il tratto della grandezza ma spesso impiegato per porre in risalto caratteristiche umane negative, e così «talentone» indica chi ha un grande talento o un brocco. 

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