Zarifa Ghafari e la battaglia di una donna in un mondo di uomini: «Il futuro dell'Afghanistan è nelle mani delle donne»

Il tour italiano si concluderà a Napoli il 31 marzo con la partecipazione a «SkyTg24 Livein» al Maschio Angioino

Zarifa Ghafari
Zarifa Ghafari
di Francesco Mannoni
Venerdì 24 Marzo 2023, 07:00 - Ultimo agg. 25 Marzo, 08:57
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«Mi chiamo Zarifa Ghafari, e sono una donna afgana. Sono nata nel 1994, durante una guerra civile nel mio paese, e sono cresciuta sotto il primo regime talebano. Sono diventata maggiorenne nell'era successiva al 2001 sotto un governo all'apparenza democratico, sostenuto da eserciti occidentali, organizzazioni umanitarie e miliardi di dollari. Da adulta sono diventata il primo sindaco donna della provincia di Vardak, una zona sotto l'influenza talebana a ovest di Kabul. Quel ruolo mi ha reso una delle donne più importanti del paese e una netta oppositrice dei talebani»: si racconta così Zarifa Ghafari, vittima di rappresaglie e attentati culminati il 5 novembre 2020 nell'assassinio di suo padre. Dopo la caduta di Kabul in mano ai talebani è stata costretta a fuggire all'estero, a Bonn in Germania. Per il suo coraggio e le sue battaglie nel 2020 le è stato conferito il premio per le donne coraggiose del dipartimento di Stato americano. Oggi è alla testa della fondazione umanitaria Assistance and Promotion of Afghan Women. Nel febbraio dell'anno scorso è tornata in patria per continuare le sue battaglie.

Oggi è a Mestre, prima tappa del suo tour italiano per presentare il suo libro autobiografico, Zarifa. La battaglia di una donna in un mondo di uomini (Solferino, pagine 299, euro 19,50) che ha ispirato il documentario Netflix «In her hands».

Il suo giro nel Belpaese si concluderà a Napoli il 31 marzo con la partecipazione a «SkyTg24 Livein» al Maschio Angioino.

Come affronta battaglie tanto pericolose, signora Ghafari?
«La conoscenza dei gruppi estremisti, la consapevolezza del danno che stanno arrecando al mio Paese e alla mia gente, riescono a darmi il coraggio di non arrendermi, di combatterli ancora: voglio che i miei figli vivano una vita diversa e migliore di quella che ho avuto io, e che hanno vissuto i miei genitori».

Perché i talebani odiano/temono la cultura e l'educazione delle donne?
«Se le donne ricevono l'istruzione, la catena di produzione del terrorismo viene bloccata. Nessuna madre istruita permetterà a suo figlio di unirsi a gruppi terroristici, ecco perché tutti i gruppi estremisti hanno paura dell'istruzione delle donne. Ma non sono solo i talebani che hanno vietato l'istruzione alle donne e che hanno paura della cultura: negli anni Ottanta anche i mujaheddin avevano bandito alle donne l'istruzione e il lavoro e avevano distrutto tutti i valori culturali. Quindi i talebani così come i mujaheddin, sono due figli di un unico padre: il terrore propagandato dall'estremismo».

Ma è possibile un tentativo di dialogo con i talebani?
«Se il dialogo dei cosiddetti negoziati di pace è stato possibile perché lo voleva la comunità internazionale, anche un ulteriore round è possibile: c'è solo bisogno di impegno e di una chiara volontà internazionale in direzione della pace e del rispetto dei diritti umani. Se per i talebani è importante e possibile dialogare con gli uomini afgani, la comunità internazionale e la Nato su questioni di potere, perché non è possibile prendere in considerazione un dialogo con le donne afgane sul piano del rispetto dei diritti umani? La comunità internazionale deve capire l'importanza di questo passo, e sostenerlo».

Come vede le proteste in Iran?
«Le donne iraniane portano avanti la loro lotta da almeno 40 anni, quelle afgane quasi, già nei primi giorni dell'occupazione talebana, due estati fa, uscivano per le strade a protestare e rivendicare i loro diritti, malgrado le conseguenze e il trattamento ricevuto. Ma quanto accade nel mio Paese e come agisce il mio popolo resta spesso lontano dagli occhi dei cittadini di tutto il mondo, e non è sostenuto con la forza con cui la comunità internazionale sostiene le donne iraniane. Il futuro del mio Paese dipende dalle donne afgane». 

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