Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli al museo diocesano

L'inaugurazione con il ministro della Cultura Sangiuliano

Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli
Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli
Maria Pirrodi Maria Pirro
Sabato 29 Aprile 2023, 08:30 - Ultimo agg. 30 Aprile, 09:57
5 Minuti di Lettura

Il primo dipinto in mostra propone un enigma, ha il punto interrogativo nella didascalia: è opera di Artemisia Gentileschi o di suo padre Orazio? «Per il sottosegretario Vittorio Sgarbi, è invece di Caravaggio considerato l'altro maestro dall'artista, che ne interpretò il naturalismo in modo peculiare. Ma sono almeno 5 o 6 le diverse attribuzioni», sospira il curatore Pierluigi Leone de Castris, indicando «Giuditta e la fantesca Abra con la testa di Oloferne» nell'unica versione su fondo chiaro, impreziosita da gioielli e stoffe disegnati con attenzione, fino ad apparire veri. La tela, di 130 centimetri per 99, proviene dalla collezione Fabrizio Lemme e fino al 3 luglio si trova nel Museo Diocesano a Donnaregina. «Come quasi tutti i quadri, 14 su 16, si ammirano per la prima volta a Napoli», aggiunge Leone de Castris, anche presidente del corso di laurea in Conservazione dei beni culturali al Suor Orsola Benincasa. E, all'inaugurazione con il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, sottolinea le peculiarità del piccolo, ricercato allestimento suddiviso in due ambienti (uno legato al periodo partenopeo, l'altro alle esperienze lontano dalla città). «Un progetto ideato sin nel 2019 non senza difficoltà, innanzitutto per i prestiti importanti: alcuni negati in quanto già concessi altrove, ad esempio a Genova, per un'altra iniziativa», spiega il docente.

Dal 1991 l'interesse per la pittrice è evidente, rinnovato ogni 12 mesi con due o tre eventi in Italia e all'estero, da New York a Saint-Louis. Può sembrare strano, dunque, che Artemisia Gentileschi abbia vissuto per 25 anni in città, tra il 1630 e il 1654, il periodo più lungo della sua carriera, «senza che qui le sia stata dedicata mai una monografica», s'intesta il merito di «aver colmato un vuoto» il professore universitario, precisando le differenze con l'altra mostra sull'artista appena conclusa alle Gallerie d'Italia. «Incentrata sul rapporto con i pittori meridionali, non solo su questa donna dall'avvincente vicenda umana e biografica, con un focus sulla sua formazione e quanto realizzato anche a Roma e Firenze». «È una figura rara già nella sua epoca funestata dall'eruzione del Vesuvio, rivolte ed epidemie. Resta un modello per affrontare i periodi di crisi», è il messaggio del vicario per la cultura della Curia, padre Adolfo Russo.

Come non ricordare il dramma personale, lo stupro subìto dal collega-pittore Agostino Tassi e il processo pubblico, senza precedenti nella storia, per quel delitto. Quindi, il mito femminista di Artemisia Gentileschi. E le sue crude versioni di «Giuditta», lette come proiezioni del desiderio di rivalsa, da quella precoce compiuta a Napoli sino a quella «fiorentina», eccezionalmente a confronto. E, accanto, ce n'è un'altra, della Fondazione Cassa di risparmio di Terni: «Non presentata in precedenza», sottolinea Loene de Castris.

Sono due i dipinti avuti da Capodimonte (l'altro è «L'Annunciazione», entrambi già visti alle Gallerie d'Italia), quattro trasferiti dagli Uffizi e da Palazzo Pitti (tra cui una luminosa «Maddalena», «Santa Caterina d'Alessandria» e «Minerva»); mentre due lavagne, della Quadreria arcivescovile di Milano, sono firmate da papà Orazio. E l'esposizione apre una riflessione su Prudenzia Palmira, la figlia d'arte, «pittrice che potrebbe essere rappresentata in uno dei dipinti nell'ovale, da studiare», riflette il curatore. 

Inquieto il rapporto con la città, come la stessa Gentileschi scrisse al cavalier Andrea Cioli, nel 1636, a proposito delle troppe catastrofi: «in Napoli non ho voluntà de più starci, sì per li tumulti de guerra, come anco il male vivere et delle cose care». Inviando in dono suoi quadri, tentò così di rientrare a Firenze, al servizio dei Medici o di essere chiamata nelle corti di Ferrara e Modena, finendo per raggiungere, nel 1638, il padre a Londra, stipendiato dal re Carlo I, ma che sarebbe morto solo un anno più tardi. Dopo il rientro, documenti e opere attestano che la pittrice fu di nuovo nel capoluogo partenopeo sino almeno all'estate del 1654, dove dipinse per collezionisti come i Farnese (di qui le grandi tele a Capodimonte) e Andrea d'Avalos («Tele riportate nell'inventario, ma non ancora trovate»).

Video

«Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli» è l'occasione per scoprire l'artista a tutto tondo, sempre più superstar, e i tesori della Curia poco conosciuti: «Trentamila i visitatori all'anno», certifica il direttore Elio de Rosa, che conduce Sangiuliano dentro lo splendore di Donnaregina Vecchia, oltre le 300 opere in esposizione permanente. «Occorre rilanciare la strada dei musei», afferma Sergio Locoratolo a nome del Comune. Atteso (inutilmente) il governatore Vincenzo De Luca che punta a raddoppiare gli spazi per l'arte contemporanea, a due passi da qui il Madre: imminente l'acquisto del «Madre 2». Largo al profano, ma anche al sacro. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA