«Cento di questi puffi», la mostra tributo al Wow Spazio Fumetto di Milano

«Cento di questi puffi», la mostra tributo al Wow Spazio Fumetto di Milano
di Erminia Pellecchia
Sabato 20 Ottobre 2018, 18:36
3 Minuti di Lettura
«Noi Puffi siam così, noi siamo Puffi blu, puffiamo su per giù due mele o poco più...»: un tormentone la sigla, cantata da Cristina D'Avena, che ci accompagna fin dai primi anni Ottanta quando il gran pubblico italiano, complice la serie animata realizzata da Hanna & Barbera, scopre sul piccolo schermo i buffi, scanzonati, eternamente giovani omini blu creati nel 1958 (prima apparizione su Le Jurnal de Spirou il 23 ottobre come comparse della saga di John e Solfami) dal fumettista belga Pierre Culliford, in arte Peyo (suoi trame e disegni con la moglie Nine responsabile dei colori). Tontolone, Quattrocchi, Inventore, Forzuto, Burlone Poeta, Stonato, Golosone, Brontolone,Vanitoso, Contadino, Grande Puffo, Baby Puffo... e poi lei, Puffetta, unica donna in un villaggio di soli uomini, forgiata dall'acerrimo nemico Gargamella - malvagio mago in perenne crisi di nervi, così come il suo perfido gatto Birba - per sconvolgerne la quiete, prima mora poi, una volta passata dalla parte del bene, bionda bomba sexy in miniatura: sessant'anni di storie ironiche e surreali, ambientate in un improbabile Medioevo, che hanno conquistato addirittura l'immaginario di Umberto Eco, catturato dai neologismi surreali del linguaggio puffoso. Già, proprio il bizzarro vocabolario è il motivo di un successo multimediale lungo tre generazioni di ragazzini (e non solo), partito dai fumetti per approdare alle serie animate televisive (la prima è del '61, in nove puntate), ai gadget (alcuni pupazzetti in gomma prodotti dalla Schleich degli anni Settanta sul mercato dei collezionisti hanno un valore inestimabile e le sorpresine degli ovetti Kinder valgono oro), le colonne sonore e lo sbarco nel cinema avvenuto nel 2011. L'origine? Quasi leggenda: una cena al mare, la momentanea amnesia di Peyo che, invece della saliera, chiede ad un amico di passargli il puffo e lui, di rimando “tieni il puffo, quando avrai finito di puffare, ripuffalo al suo posto”. Sessanta candelpuffe da festeggiare alla grande, con l'augurio di “Cento di questi puffi”: il tributo arriva da Wow Spazio Fumetto di Milano con la mostra che apre, nel museo di via Campania, proprio il 23 ottobre (fino al 25 novembre, ingresso libero, tutti i giorni tranne il lunedì, dalle 15 alle 19; sabato e domenica dalle 15 alle 20).

Un percorso inedito e divertente, una full immersion nel mondo di Puffolandia: in esposizione giornali rari dagli archivi della Fondazione Franco Fossati, tra cui l’originale del numero di Spirou “La flûte à six schtroumpfs” (Il flauto a sei puffi) e i numeri di Tipitì (1963) con la prima apparizione italiana ancora col nome di Strunfi (troppo simile ad una parolaccia e trasformato in Puffi) fino alle storiche storie pubblicate sui volumi cartonati e sul Corriere dei Piccoli dal 1964 e l’omaggio de Il Giornalino per i 50 anni con un racconto ambientato a Milano e la performance di piazza Duomo invasa da puffi in plastica bianca da colorare a piacimento. Tante le curiosità e qualche riflessione. Dietro all'universo magico dei Puffi col loro cappuccio bianco che ricorda il berretto frigio della Rivoluzione francese si nasconderebbe un messaggio politico? E Grande Puffo col suo copricapo rosso incarnerebbe Marx? O l'azzurro è, invece, un rimando alla massoneria? Poco importa, il messaggio è quello dell'eterna lotta dell'umanità tra bene e male e, soprattutto un inno alla fantasia. Peyo muore nel '92, lasciando dietro di sé sedici fumetti e piccoli eroi, che furono portati dal figlio Thierry nello studio Imps alla periferia di Bruxelles. Ma la lunga storia d'amore continua. E, ancora oggi, attraverso i caratteri delle sue simpatiche creaturine, possiamo identificarci, sorridendo delle nostre manie e imbevendoci della loro essenza di felicità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA