Il volto deformato dal dolore, un padre sostiene il corpo esanime del figlio strappato prematuramente alla vita. La sofferenza resa fisica e tradotta in pietra; un lutto contro natura che fa del pianto muto del genitore il simbolo di altre morti inattese. Come le vittime della pandemia. Come quelle recise dalla guerra. Commuove la Pietà contemporanea di Jago – al secolo Jacopo Cardillo - in dialogo di sguardi con l'Altare della Patria nellemozionante allestimento di palazzo Bonaparte, che ospita la prima antologica (Roma, 12 marzo-3 luglio) dedicata all'artista ciociaro, classe 1987, che a genialità e talento unisce – il suo profilo Instagram ha oltre 600mila follower - la grande capacità di comunicazione. Ben diciotto mesi di lavoro, il blocco bianco di marmo ha preso corpo e anima nella chiesa di Sant'Aspreno ai Crociferi che lo scultore, dal 2020 di casa (dopo New York) a Napoli, alla Sanità, ha adibito ad atelier aperto al pubblico (condividendo le fasi di lavorazione dell'opera sui social) con l'inclusivo motto «L'arte è di tutti».
Poi la messa in scena, da ottobre 2021 allo scorso febbraio nella Chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo, ammirata da centinaia e centinaia di persone, soprattutto giovani; ora eccola, col suo spettacolare colpo d'occhio, in mostra nello splendido edificio affacciato su piazza Venezia, che, dopo il restauro a cura di Generali Valore Cultura, ha riaperto, complice la partnership di Arthemisia, con un programma iconico scandito in tre appuntamenti di respiro internazionale.
Nel percorso, di potente impatto, sfilano dodici opere di Jago, chiave per comprendere il suo processo creativo tenacemente ancorato ai temi del presente e a un discorso etico e sociale. Prima testimonianza è lo scavo sui grandi sassi raccolti nel greto di un fiume alle pendici delle Alpi Apuane, pazientemente scavati nel desiderio di raccontare una storia personale e umana. Segue la Pietà, con l'artista stesso a far da modello: «Ho messo la mia faccia, la mia sofferenza, il mio sentimento, ho guardato in me stesso per esprimere la commozione».
Ecco Habemus Hominem, il ritratto di Papa Benedetto XVI; la scardinante nudità del pontefice emerito sembra riflettersi nella Venere anziana, grinzosa e priva ormai del potere della seduzione. In questa passeggiata in cui la materia si fa meditazione ci viene incontro un'altra icona di tragedie senza tempo: il Figlio Velato, proveniente dalla Cappella dei Bianchi di Napoli e ispirato al Cristo Velato di Sanmartino. Giace inerme su una lastra marmorea, è il monumento alla perdita dell'infanzia, ai migranti fanciulli, ali bambini vittime dei conflitti. In esposizione anche un'opera ormai cult, The First Baby, il feto scolpito e mandato nello spazio nel 2019 con la missione dell'Esa, guidata da Luca Palmisano. Infine Apparato circolatorio, un'installazione tra ceramiche e battito cardiaco dedicata da Jago a un amico scomparso.
Manca all'appello Look-down, il bambino rannicchiato che, nella sua fragile innocenza, si fa monito contro l'indifferenza nei confronti degli ultimi. Comparve durante il lockdown in piazza del Plebiscito a Napoli, oggi «dorme indisturbato nel deserto di Fujairah, protetto dall'abbraccio delle montagne ed avvolto in un solenne silenzio». Durante i mesi della mostra Palazzo Bonaparte si trasformerà in uno studio d’artista: Jago, infatti, lavorerà alla sua prossima monumentale scultura all’interno della sede espositiva, rendendo partecipi i visitatori. Info: 06871511; www.mostrepalazzobonaparte.it.