Sardegna isola megalitica al Mann: il gigante va in trasferta

Sardegna isola megalitica al Mann: il gigante va in trasferta
di Giovanni Chianelli
Sabato 11 Giugno 2022, 09:00 - Ultimo agg. 19:03
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Querce, roverelle e sugheri nell'atrio, mirto che sparge il suo odore nei giardini, nella sala della Meridiana opere di età nuragica: da oggi andare al Mann è come fare un salto in Sardegna. È forte l'interesse del museo napoletano verso l'isola, la regione con il maggior numero di siti archeologici d'Italia con oltre 7.000 nuraghi e altre migliaia di resti tra megaliti, santuari dell'età del bronzo e «tombe dei giganti». Perciò assume rilievo, tanto da essere uno degli eventi dell'anno nella programmazione del museo, la mostra «Sardegna isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo» che dura fino all'11 settembre.

Un modo per affacciarsi su una civiltà antichissima che espresse molto prima della Grecia e di Roma un protagonismo culturale e sociale unico, dal neolitico all'età del Bronzo. Lo testimoniano i nuraghi, simbolo della Sardegna e della mostra, costruiti con blocchi di basalto, trachite e granito dal 1800 al 1600 a.C. con la tecnica raffinatissima del tholos, il sistema di copertura a pianta circolare che una storiografia distratta avrebbe attribuito agli antichi greci, se non fosse che sull'isola erano diffusi diversi secoli prima. «Bisogna immaginare la Sardegna come la Manhattan dell'età del Bronzo» dice Paolo Giulierini, direttore del museo.

L'esposizione è stata nei mesi scorsi a San Pietroburgo, Salonicco e Berlino, quella del Mann è la prima e unica tappa italiana; è curata da Federica Doria, Stefano Giuliani, Elisabetta Grassi, Manuela Puddu e Maria Letizia Pulcini, ed è coordinata per l'appuntamento partenopeo da Laura Forte, responsabile dell'ufficio mostre del museo.

Una mostra evento anche per la presenza di ritrovamenti che mai, fino ad adesso, avevano lasciato l'isola: tra gli oltre 200 reperti esposti brilla una delle sculture in pietra dei guerrieri di Mont'e Prama, un gigante di oltre due metri, un pugile sulla cui datazione gli studiosi dibattono ancora. Per una scelta della direzione del Museo archeologico nazionale di Cagliari, tra i promotori dell'esposizione insieme alla Regione Sardegna, la statua, mai prestata prima, diventa a Napoli ambasciatrice di un messaggio di continuità tra le culture mediterranee. 

 

Il percorso espositivo ha nel megalitismo il suo filo rosso: la realizzazione di edifici di grandi dimensioni, fatti con elementi in pietra, cambiò il volto all'isola dall'età Neolitica fino a tutta l'età del Bronzo e del Ferro, quando finì la civiltà nuragica. Ecco i focus sulle «domus de janas», in lingua sarda le case delle fate o delle streghe, scavate nella roccia, e i dolmen. Come indica il titolo è proprio la pietra a segnare il tratto di un'epoca: lo testimoniano gli approfondimenti sul santuario di monte d'Accoddi, altare monumentale unico nel panorama del Mediterraneo che presenta analogie con le ziqqurath orientali, e sulla muraglia votiva di monte Baranta. E le «tombe di giganti», così chiamate in riferimento alle dimensioni delle strutture architettoniche collegate ai defunti che nell'immaginario avevano le proporzioni degli orchi. In realtà erano sepolture collettive che ospitavano centinaia di individui e forse celebravano il culto degli antenati: la religiosità delle popolazioni nuragiche è confermata, in mostra, dal gran numero di ex voto in bronzo, i cosiddetti «bronzetti»: riproducono donne e uomini che avevano ruoli chiave nella società sacerdotesse e guerrieri soprattutto - ma anche animali, oggetti di uso comune ed edifici. 

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I nuraghi erano destinati a sopravvivere a loro stessi. Anche nell'età del Ferro, attorno al I millennio a.C., in una società in cui le dinamiche sociali, economiche e costruttive si erano profondamente modificate, gli edifici, che non venivano eretti da vari secoli, continuavano a essere centrali nella mitologia collettiva come simbolo di un passato identitario, centri del potere in cui tutta la popolazione dell'isola si riconosceva. Finito il tempo degli ingegnosi costruttori delle torri nuragiche, alcune alte quanto le piramidi, si diffusero le miniature delle stesse costruzioni in pietra, ceramica e bronzo che venivano utilizzate, probabilmente, come altari in rituali collettivi. «Una sorta di antenati dei magneti che attacchiamo sul frigorifero», dice Paolo Alberto Pinna, responsabile di «Nuragica», un itinerario posto negli ambienti vicini alla sala della Meridiana che offre l'experience dei villaggi sardi, diviso in due sezioni, una analogica e l'altra virtuale.

Nel primo segmento si può passeggiare in un centro abitato ricostruito in scala 1 a 1, nel secondo ci si può accomodare nella stanza della realtà aumentata, ideata dal napoletano Sebastiano Deva: il pubblico, indossando particolari visori, vive la sensazione di volare sopra un insediamento megalitico. 

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