Pittore, scultore, saggista, poeta, performer, artista concettuale. Jimmie Durham, nato in Arkansas nel 1940, casa a Napoli, a Porta Capuana (nel complesso del Lanificio, Santa Caterina a Formiello, accanto a Made in Cloister, da oltre dieci anni) è morto ieri a Berlino, la città che con Napoli era da anni la sede del suo fare arte, appassionato fino alla scomparsa, nonostante le sue condizioni di salute negli ultimi tempi lo avessero parecchio condizionato. Un’emorragia gastrica lo ha sottratto alla vita, alla moglie Maria Theresa Alves, anch’ella artista (in corso alla Fondazione Morra Greco una sua mostra), all’arte, e ai tanti amici napoletani: esponenti del mondo dell’arte, artigiani, semplici cittadini con i quali amava soffermarsi nel corso delle sue passeggiate nella città antica. Un rapporto con Napoli davvero speciale, quello di Durham, che ha esposto nelle principali rassegne in tutto il mondo, fiero delle sue origini Cherokee, al quale la Biennale di Venezia ha assegnato nel 2019 il Leone d’Oro alla carriera.Una vita tra arte e politica quella di Durham, perché convinto sostenitore di battaglie civili contro il pensiero dominante, la schematizzazione e il sistema di potere politico ed economico, schierandosi senza se e senza ma per un pacifismo che non fosse soltanto uno slogan, un bello slogan, e nulla più. Durham a partire dagli anni ‘70 divenne un attivista dell’American Indian Movement, associazione a sostegno dei diritti dei Nativi Americani e poi direttore dell’International Indian Treaty Council e rappresentante dei nativi alle Nazioni Unite. A New York dopo un decennio riprese l’attività artistica, vivendo anche lunghi periodi in Messico.
Infine l’approdo in Europa, dal 1994, avendo due poli esistenziali, residenziali, ed artistico-culturali, Berlino e, appunto, Napoli. Città con la quale Jimmie Durham stabilisce un rapporto di intensa partecipazione, artistica e umana. Forti i contatti, con Maurizio Morra Greco, Mimmo e Angela Jodice, Peppe Morra, Alfonso Artiaco, Alberto Del Genio, Pierpaolo Forte, Andrea Viliani, Tullia Passerini, Angela Tecce, attuale presidente della Fondazione Donnaregina, che esprimendo la sua partecipazione per la scomparsa dell’artista, sta già pensando ad una iniziativa per ricordarlo, anche alla luce delle tante mostre al Madre.
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In questo momento di grande dolore, la moglie dell’artista, che lo ha assistito fino alla fine ricorda il suo rapporto con Napoli: «Jimmie era felice del suo inserimento immediato con questa città speciale che ci ha adottati e colmati di attenzioni dal primo momento. Lui ha amato molto il contatto con la gente semplice di Porta Capuana, dei vicoli, e il rapporto con il mondo dell’arte, galleristi, artisti, appassionati, esponenti delle istituzioni... Un rapporto speciale che lui riviveva, ed io con lui, nel corso delle sue passeggiate, dei suoi incontri. Il cibo, la storia, la musica, i monumenti, la grande civiltà, le atmosfere umane, tutto gli piaceva di Napoli.... Quando a dicembre 2012 espose alla Sala Dorica di Palazzo Reale (Fondazione Morra Greco e Madre) “Wood, stone and friends”, il legno, la pietra, gli amici (tre elementi, tre concetti dell’estetica di mio marito, interessato a far capire che l’uomo e la sua complessità esistenziale non possono fare a meno di cercare nella natura l’essenza delle cose) Jimmie volle mettere in risalto come la sua visione potesse, e può, essere applicata ad una consuetudinaria passeggiata nei vicoli del centro storico, dove basta rimanere in silenzio ad osservare murales e panni stesi, per rendersi conto di quanto il controllo dell’uomo e di qualsiasi forma di cultura, sia impotente rispetto alla naturale evoluzione delle cose».