Ritratti di donne/ Donn'Anna
viceregina gelida e sensuale

Ritratti di donne/ Donn'Anna viceregina gelida e sensuale
di Pietro Gargano
Sabato 29 Dicembre 2012, 10:34 - Ultimo agg. 12:33
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Nel 1630 i vesuviani ebbero una castellana di 25 anni: Anna Carafa, porticese, principessa di Stigliano, bionda, bella e portata al comando. La descrissero gelida e sensuale, altera e sfrontata, dagli occhi di ghiaccio e le labbra atteggiate a un falso e ironico sorriso.

Anna ereditò il patrimonio dal nonno Luigi perché suo padre Antonio e suo fratello Giuseppe erano morti anzitempo.



Ricca com’era - un milione e mezzo di ducati in immobili, 700.000 in beni mobili - fu corteggiatissima e il fidanzamento diventò affare di corte. Tra i pretendenti, nomi illustri: Medici, Barberini, d’Este, Giovanni Casimiro Wasa erede al trono di Polonia. Vinse Ramiro de la Marra duca di Medina las Torres, vedovo della figlia del primo ministro di Filippo IV, Enrico de Guzman conte di Olivares. Nelle trattative per le nozze fu garantito che il promesso sposo sarebbe presto diventato viceré di Napoli. La madre di Anna, Elena Aldobrandini, si convinse; la nonna, Isabella Gonzaga dei duchi di Sabbioneta, dubitò invece delle promesse.



Don Ramiro sbarcò, scortato dalla squadra navale spagnola, e con gran pompa si recò a rendere omaggio ad Anna nella residenza principale della sua famiglia a Napoli, in quello che oggi è detto Palazzo Cellammare, a Chiaia. Andarono sontuosamente all’altare nell’ottobre del 1636. Però il conte de Olivares non mantenne subito l’impegno di chiamare Rodrigo alla guida di Napoli. Nonna Isabella s’infuriò (morì non molto tempo dopo: di crepacuore dissero a corte). L’attesa, tuttavia, non fu lunga: il 13 novembre 1637 Ramiro entrò nelle stanze del comando. Era molto religioso, eppure tartassò i sudditi. In sei anni prelevò 44 milioni di ducati, aumentando le gabelle su farina e frutta, introducendo la carta bollata.



Ottenne qualche popolarità, tuttavia, per un gesto di pietà dettato da una visione superstiziosa. 1639, in San Lorenzo Maggiore una donna si prostrò nella Cappella della Regina. A fra’ Gennaro Rocco, che la soccorse, consegnò un biglietto per il viceré, affinché graziasse suo figlio, destinato all’impiccagione, innocente. Quella notte don Ramiro non riusciva a dormire. All’alba la finestra si spalancò, eppure non c’era vento. Si materializzò un monaco che gli assicurò l’innocenza del condannato. Il viceré si alzò, andò alla scrivania e firmò la grazia. Fatto giorno, fece trasportare il suo letto, come ex-voto, nel tempio di San Lorenzo.



Era castellana e viceregina, eppure all’ambiziosa Anna

questi titoli non bastavano. Quando maturò la vendita dei casali, acquistò tutti i diritti dal Regio Demanio. Ciò avvenne nel 1638. È una scadenza importante: Portici, Torre del Greco, Resina e Cremano non furono più una capitania bensì una baronia: tutto sommato, un feudo. Le prerogative di Donn’Anna diventarono più ampie e lei le usò con brutale disinvoltura. Pretese il diritto di bandire la caccia e comunque di ricevere un quarto della selvaggina abbattuta; incamerò tasse sugli atti civili, sulle donazioni, sull’esenzione degli alloggi militari; proibì la macellazione privata qualora fossero morte o malate le bestie, si appropriò le galline; sostenne le spese del castello con una quota dei proventi della mietitura e della pesca.



I ricchi potevano tutto. Quando Anna Carafa ricostruì sui ruderi del Palazzo della Sirena la dimora di Posillipo - Palazzo Donn’Anna, appunto, misteriosa meraviglia di tufo dorato - non solo spese 150.000 ducati e impiegò per due anni 400 operai, ma sequestrò come arredi la fantastica lastra marmorea con Orfeo, Euridice ed Ermete ritrovata in contrada Sora a Torre del Greco (ora al Museo Nazionale di Napoli) e altre statue.

I sudditi la odiarono? La questione è controversa, pur se Benedetto Croce sentenziò: «Né mai feudatario inventò tanti sottili mezzi per succhiare il sangue ai suoi vassalli quanti ne seppe escogitare la ricchissima viceregina».



I difensori raccontano invece ch’era devota e ogni martedì andava agli Incurabili con la madre per servire i malati nelle incombenze più ripugnanti. E citano come prova di simpatia la statua di Sant’Eugenia nella chiesa di Santa Croce a Torre del Greco (svanita nel 1794) realizzata con le sue sembianze. Potrebbe essere invece una prova di ruffianeria dettata dalla paura. È comunque ragionevole ritenere che su di lei ricaddero i malumori per le vessazioni del marito.



Anna ebbe tre figli ed era di nuovo incinta quando il marito - il 6 maggio 1644 - fu destituito e costretto a difendersi davanti al re di Spagna dall’accusa di sperpero. Ramiro portò con sé a Madrid il primogenito Nicola. Anna affidò gli altri due figli alla madre e si ritirò solitaria a Portici nel palazzo di famiglia dov’era nata.

Confortata dal parroco Bosso, se ne andò la sera del 24 ottobre 1644, alle due di notte. Si portò nella tomba il piccino che aveva nel ventre? Alcuni autori sostengono che abortì prima di ammalarsi. Pietro Giannone scrisse che morì di una malattia che la rese «schifosa per la colluvie di pidocchi».



Tifo petecchiale, sembra. Donn’Anna fu sepolta il 27 ottobre nella chiesa di Sant’Agostino a Ercolano; la salma venne poi trasferita in San Domenico Maggiore a Napoli. I superstiziosi dicono che il suo fantasma appare ancora nel palazzo di Posillipo. Si alternerebbe a quello della sua rivale in amore, la spagnola Mercedes Las Torres.
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