Insieme a Maria a pulpettara, il lupo mannaro, la sirena, Maradona che palleggia con un'arancia, Razzullo e Peppiniello, la donna nuda, Pulcinella, lo scartellato, Ciccibacco, Benino, il monaciello e il femminiello, il diavolo, Peppe Barra/Razzullo, 100 animali, eccetera ecceterona come direbbe Domenico Rea, quest'anno nel presepe favoloso dei fratelli Scuotto, 4 metri per 2, protetto da una teca di cristallo ed esposto nella sagrestia della basilica di Santa Maria alla Sanità, c'è anche la statuina in terracotta di una gitana. È ispirata ad Aurora Quattrocchi, madre di Pierfrancesco Favino nel film «Nostalgia» di Mario Martone e simbolo del quartiere.
La nuova versione del presepe degli Scuotto, cocktail di sapere tradizionale e immaginario aperto alla contemporaneità, inaugurato lo scorso anno e destinato ad essere sempre arricchito, sarà visitabile fino al 6 gennaio gratuitamente insieme alla mostra, una ventina di pezzi antichi e nuovi degli Scuotto, ospitata nella cappella del tesoro appena restaurata con alle pareti affreschi del Seicento sulle vite di santi.
A raccontare l'operazione degli Scuotto alla Sanità è appena uscita un libro, Il presepe favoloso del rione Sanità (Edizioni San Gennaro, pagine 92, euro 35). Insieme ai testi introduttivi di padre Antonio Loffredo e Paolo Giulierini, e agli interventi di Pietro Gargano, Federico Vacalebre (ripreso da queste pagine), Peppe Barra, Gianluigi Freda, ci sono 100 fotografie a colori di Sergio Siano e in appendice 52 schede, in italiano e inglese, che spiegano la storia di ogni statuina presepiale. «I fratelli Scuotto non condividono la triste abitudine, tutta mercantile, di collocare sullo scoglio i personaggi della cronaca, dello spettacolo, dello sport, della politica. Gli Scuotto usano i contemporanei soltanto se essi hanno trovato un posto nella testa del popolo e più giù. La loro bottega, la Scarabattola, è a due passi da San Gregorio Armeno, vicina nello spazio ma lontana nell'ispirazione» scrive Gargano. Per Vacalebre il presepe favoloso «non è solo un'opera d'arte ma anche un contributo importante al dibattito su come lavorare sulle nostre tradizioni. Gli Scuotto, in fondo, guardando a De Simone, operano sui loro pastori come la Nccp fece su villanelle e moresche, riscoprendone il più profondo senso, restituendole con rispetto al nostro vivere contemporaneo».