Via Appia, una mostra sulle tracce dei romani nel museo di Santa Maria Capua Vetere

Via Appia, una mostra sulle tracce dei romani nel museo di Santa Maria Capua Vetere
Maria Pirrodi Maria Pirro
Martedì 13 Settembre 2022, 07:47 - Ultimo agg. 18:13
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Inviato a Santa Maria Capua Vetere

Costruita nel 312 avanti Cristo per unire Roma e Capua, base militare durante lo scontro con i sanniti, asse strategico, l’Appia è la strada più importante di un mondo antico che non esiste più. Ma questo luogo che attraversa il Sud resta carico di simboli, straordinario e dimenticato: si allunga per oltre 600 chilometri (180 soltanto in Campania), collega due mari, è porta socchiusa verso Oriente, occasione di incontro tra popoli, culture, civiltà. Custodisce una storia mai raccontata abbastanza. Difatti, «è la prima volta che 100 reperti lasciano i depositi e vengono esposti sul territorio», dice soddisfatta Ida Gennarelli, direttrice del museo archeologico dell’antica Capua, l’altera Roma finalmente presentata al pubblico, eppure seconda città per lusso e magnificenza, oggi Santa Maria Capua Vetere. 

Grazie alla mostra permanente «I segni del paesaggio: l’Appia e Capua», che s’inaugura domani, mercoledì 14 settembre, il complesso raddoppia le sale da visitare (otto più le dieci allestite nel 1995) e punta ad aumentare i biglietti staccati, 20681 in otto mesi nel 2022, cui vanno sommati i ticket ArteCard, e però rimangono ancora pochi, considerata l’importanza del sito e il valore delle opere.La principale attrazione è la tomba di Stallia, raro esempio di pittura del periodo tardo-repubblicano che raffigura l’arrivo di una nobildonna nei Campi Elisi: recuperata 15 anni fa, nel 2008, all’altezza del casello autostradale, la sepoltura monumentale con i chiodi d’epoca ancora intatti è stata trasferita sui rulli di metallo, restaurata da Luigi Russo e Francesco Faillace e ricostruita utilizzando gli stessi sostegni, laterali e agganciati al soffitto, e c’è persino il corredo originale adagiato su un tavolino, riproposto così come è stato ritrovato durante gli scavi e composto da frammenti intagliati, raffinati profumi in alabastro; più un pettine, due specchi e un’ansetta in vetrina.

Ma il percorso nei nuovi spazi inizia con una immensa Nike dal busto inclinato: divisa in due perché senza più ali ed equilibrio. La dea che interpreta la vittoria non può che avere, nella narrazione umana, dimensioni esagerate, superiori al vero, le gambe grosse sproporzionate: risale al I-II secolo dopo Cristo e rimane attuale. Tre statue sono subito dietro.

Un personaggio femminile indossa chitone e mantello e conserva tutto il fascino legato anche al mistero: non è possibile stabilirne l’identità. Un’altra donna, avvolta nella toga, ha il braccio sinistro ripiegato sul petto. E, accanto, ne è sistemata un’altra con i sandali dalle suole alte, «zeppe» anzitempo. Non mancano i mosaici, i cippi, i pavimenti pregiati in moduli geometrici, cerchi e nastri con rombi e quadrati, Apollo e Afrodite, Hermes, cornici adornate da una fitta sequenza di elementi vegetali e squame. Un fusto di colonna proviene dalla domus di via degli Orti e si nota per l’acceso intonaco rosso con le scanalature. Curiosità: un bell’affresco di una domus è emerso dal nero grazie al lavoro della tesista di laurea Silvia Sanfilippo. Invece, in un ambiente vicino ci sono i reperti trafugati nel 1985 dall’Antiquarium e ritrovati a un’asta a New York dai carabinieri. Tra questi, una testa di Dionisio del II secolo dopo Cristo si riconosce per la bocca sensuale, racchiusa dai baffi; l’altro è il ritratto dell’imperatore Settimo Severio. L’oscillum è invece sospeso sotto un arco di modo che il satiro impresso sui due lati, in posizioni diverse, sembra riprendere a danzare. Cattura l’attenzione, di fronte, il gocciolatoio con la criniera del leone. Trittolemo, del I secolo avanti Cristo, è l’unico esemplare a tutto tondo finora rinvenuto: adagiato sul grano, rimanda al carro e all’aratro ricevuti in dono dall’eroe attico.

 

Nell’ultima sala si trovano le olle, parte di ricchi corredi funerari. E le 100 opere sono indicate sulla mappa interattiva realizzata con l’università Vanvitelli. Per ogni reperto sono riportate le coordinate del ritrovamento, un video riepiloga le ricerche sul campo. Si scopre così che il capitello ionico proviene dal foro dedicato a Tiberio, l’iscrizione «Caesar», forse Augusto, da via Mascagni. Con il QrCode si può fare una passeggiata virtuale lungo l’Appia, dalla capitale a Brindisi. Per il tratto campano sono riportati i resti archeologici di stretta connessione, i centri antichi, i musei presenti. Un libro, edito da Electa, consente di approfondire: parla di questa mostra e di un’altra su Sant’Elmo e i castelli, che diventano itinerario suggerito e sostenuto dai Musei campani con la direttrice Marta Ragozzino. E, per i bimbi, c’è un volume speciale, Alla scoperta dell’antica Capua, di Antonio Coppa con le illustrazioni di Marianna Canciani: è utile a orientare anche gli adulti tra tecnicismi e miti. Sulle tracce dei romani.

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