Lo spettacolo del dolore in tv: l'analisi del filosofo della comunicazione Castoro

Lo spettacolo del dolore in tv: l'analisi del filosofo della comunicazione Castoro
di Donatella Trotta
Domenica 15 Ottobre 2017, 12:32 - Ultimo agg. 16 Ottobre, 09:09
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Sono passati vent’anni da quando il regista Peter Weir – era il 1997 - terminò le riprese del film «The Truman Show», con Jim Carrey nel ruolo di protagonista-antesignano di un perturbante reality che oggi - ormai - dilaga, dalla fiction, in ogni “realtà” televisiva del turbocapitalismo. Di più: al passo con una epocale (e narcisistica) svolta antropologica, nell’attuale era dell’economia della disintermediazione digitale – non a caso monitorata dal 12°

Rapporto UCSI/Censis sulla comunicazione
, con tutte le conseguenze della crisi degli enti intermedi: dalle derive populiste alla dittatura dell’algoritmo, fino all’illusione di una sedicente libertà di autodeterminazione individuale, di fatto eterodiretta -  è poi arduo discernere, nella melassa omninvasiva dell’infotainment (informazione+intrattenimento), dell’apatia morale e della cosiddetta “post-verità”, il sapore della notizia autentica da quello taroccato della sua spettacolarizzazione virtuale, l’orrore trash dalla realtà (e l’approfondimento, anche doloroso) di un fatto, le fake news dalla vita vera. E nell’inquinamento da eccesso di informazione (infopollution) - tra canali mainstream, satellitari e sul Web, tra media di massa e massa dei media, tra pornografia del dolore, fabbriche della paura e menzogne della politica con le loro armi anestetiche di distrazione di massa – diventa allora cruciale, di fronte alla banalità (e ubiquità) del Male, rimettere al centro l’umano. La sfera comunitaria di “cuori pensanti”. La responsabilità dell’individuo, del cittadino, del pensiero divergente. Anche – magari - per porre un argine al disincanto e al nichilismo (più o meno light): figli Millennials del nomadismo mediatico, nella babele liquida delle notizie.
 
A offrire una bussola utile, e necessaria, per navigare in questi oceani di notevole complessità è il nuovo tagliente saggio del filosofo della comunicazione Carmine Castoro, dal non casuale titolo Il sangue e lo schermo. Lo spettacolo dei delitti e del terrore - Da Barbara D’Urso all’Isis, appena pubblicato da Mimemis (Milano-Udine 2017) nella collana Eterotopie diretta da Salvo Vaccaro e Pierre Dalla Vigna. L’autore, foggiano residente a Roma, ne discuterà in anteprima italiana in un incontro pubblico a Napoli, prima tappa di un tour di presentazioni (l’appuntamento, moderato da Pierpaolo Petino, è lunedì 16 ottobre alle ore 18 presso la Galleria Movimento Aperto in via Duomo 290/C, diretta da Ilia Tufano). Ma che cosa c’entra “la tv del dolore” glocale di Barbara D’Urso, “Mater Lacrimarum” per antonomasia, con la strategia del terrore globale del Daesh, coordinate di un sottotitolo che rinvia all’orizzonte evocato dalle parole chiave del titolo del libro? Lo spiega Castoro stesso: «In tv – commenta – è tutto un fiorire di delitti che diventano telenovele, dettagli morbosi, skyline alla Csi, investigazioni pseudo-giornalistiche, cacce all’assassino, con un’attenzione di gran lunga superiore a temi con più valenza sociale e antropologica e meno effetto scenico come suicidi, povertà, disagio economico e incidenti, ai quali vengono concessi poveri scampoli. Il Report quali-quantitativo dell’Osservatorio di Pavia sulla Tv del Do­lore, nel trimestre 15 settembre-15 dicembre 2014, ha analizzato trasmis­sioni di grande impatto popolare come, appunto, Pomeriggio 5, Domenica Live, Quarto Grado, Chi l’ha visto?, La Vita in diretta, Storie vere, Uno Mattina, Mattino 5 ma anche Le Iene, Ballarò, Matrix, Di Martedì, Report... e tante altre, scoprendo ad esempio che in 3 mesi circa 300 ore di televisione sono state dedicate a omicidi e scomparsi (tipo­logie cui viene dedicato il 79% di tutti i dati setacciati)».
 
Non solo: «Barbara D’Urso e l’ISIS esportatore di terrorismo – aggiunge Castoro - , sono sì polarità lontane, ma anche nodi di una stessa rete che ci spinge a vivere un’idea di Male sempre de-simbolizzata, de-storicizzata, in un apparato mediatico dove contano più le messinscene macabre, le drammaturgie scontate, le indignazioni da salotto e i sentimentalismi precotti, che non la filiera delle cause di un problema, la loro politicizzazione, la nostra responsabilità». Per l’autore, viviamo così «in un Regime delle Paure: da ciò che mangiamo ai virus che possono mettere a repentaglio la nostra salute, dai “mostri” di turno che attentano a sicurezza e benessere alle emergenze climatiche, al non essere sufficientemente “strong” – come recita la pubblicità – per approfittare delle chance di narcisismo e affermazione che il mercato ci offre: tutto ha l’aria del thriller. E tutte le sfumature del Male si affacciano ormai dal piccolo schermo e dal Web: un vero e proprio immaginario onnipresente nei palinsesti tv a tutte le ore disegna una sintassi della minaccia imminente, dell’ombra che si allunga, del marcio delle anime, facendone un business cospicuo e ten­tacolare. La paura è diventata una merce al pari di una bibita gassata o dell’ultimo modello di i-phone».
 
Ma come interpretare allora in modo etico i confini tra diritto e dovere di cronaca? Come raccontare le storie del presente non con il fiato corto della simultaneità affannosa, ma “con il respiro lungo della Storia”, secondo il monito del compianto Emilio Rossi? E come demistificare il nesso apparentemente inestricabile, nell’attuale crisi di credibilità del mondo mediatico, tra informazione e spettacolo? Sono solo alcuni degli interrogativi di senso sui quali si articola l’incalzante analisi del libro, serrato atto d’accusa di un sistema (soprattutto televisivo, ma non solo) che rinvia, sottolinea Castoro, a «una realtà del Negativo sempre più banalizzata, desertificata e abitata da fantasmi», anziché da persone; uno scenario spesso fasullo che rimanda a un orizzonte inquietante (anzi: perturbante), secondo l’autore strumento probabile di «una strategia capillare di controllo emozionale attraverso cui il Sistema arriva a difendersi da ogni possibilità di rovesciamento, dicendo in ogni momento chi dobbiamo essere, come dobbiamo usare le nostre energie, e soprattutto chi sono i nostri “veri” nemici da combattere». E allora – si chiede Castoro - come dovremmo cominciarla a chiamare «questa nuova generazione sgorgante, pluvionale di episodi mediatici? Ombre di notizie? Ipotesi di notizie? Embrioni di notizie? O semplicemente binge watching: sbornia di cose da vedere? Passeremo dal fact checking ai chicken fact, ai fatti come polli da batteria?».
 
Le domande, nel libro, si intrecciano con dovizia di dati aggiornati e rinvii bibliografici alle riflessioni, le suggestioni alle proposte, la fatica del concetto al piglio narrativo della divulgazione alta. Come in questo passaggio, nel quale l’autore connota il nostro tempo mediatico dominato dalla dittatura della Techne: «La metafora, oggigiorno, che meglio caratterizza il nostro Sistema non è quella del batterio-killer, e nemmeno quella delle metastasi di un cancro, ma quella di un deficit autoimmunitario, di un Ebola dell’anima. Oltre a indurre alla rinuncia di fette intere di socialità e di diritti per la necessità di controllare il Nemico esterno con la sorveglianza totale, la militarizzazione degli spazi urbani, la sospensione delle libertà (vedi rischio attentati), un Sistema autofago come il nostro funziona proprio così: divorando i suoi stessi figli perennemente “mutati” in dementi tele-utenti e cittadini allo sbando, vedendo come nemico interno i normali soggetti pensanti, ina­bissati a quel punto verso mulinelli di anti-mutamento, e quindi di auto-ammutinamento e auto-ammutolimento di ogni parola, ogni idea che sia di contrasto a ciò che il Potere intende perseguire. Il nostro non è più uno Sta­to comunitario, ma una cinturazione di status co-(im)munitari». Parole emblematiche, al di là del calembour. Ma non si pensi a una dimensione catastrofista del peggiore filone distopico, anzi. Intento dichiarato di Castoro, in questo libro-bussola, è «mettere in evidenza quel cuore malato dei media mainstream di oggi che di fantasmizzazione (assenza di storia), finzionalizzazione (assenza di realtà) e frammentazione (assenza di unità) hanno fatto i volani di una forma-flusso che fa girare vorticosamente due ratio superiori: la fossilizzazione e la futilizzazione dell’essere umano nel suo tragico apparire, l’era glaciale di un eterno presente e l’irrilevanza di ogni sua manifestazione».
 
Sotteso a questo intento, offrire dunque strumenti critici come anticorpi contro l’”auto-intossicazione” e “auto-suggestione” dei media, secondo le definizioni di Ignacio Ramonet. Ma soprattutto, offrire un possibile antidoto al virus dell’”Ebola dell’anima”, già al centro di precedenti appassionate analisi di Castoro: filosofo della comunicazione ma anche giornalista professionista, docente di Estetica dei Media alla Link Campus University di Roma, di Sociologia criminale e della devianza alla Fondazione Ludes Higher Education Institution di Malta e di Filosofia del crimine e Media Intelligence all’università di Foggia, che ha firmato programmi per i palinsesti della Rai e di Sky, accanto a numerosi saggi al vetriolo sulla “cattiva maestra” televisione, tra i quali Crash Tv. Filosofia dell’odio televisivo (2009), Maria De Filippi ti odio. Per un’ecologia dell’immaginario televisivo (2012), Filosofia dell’Osceno televisivo. Pratiche dell’odio contro la tv del nulla (2013). Clinica della tv. I dieci virus del Tele-Capitalismo (2015). Un obiettivo particolarmente utile ai più giovani, giacché per l’autore «Il nesso che lega emozioni e comunicazione, interattività nella dilagante onnipresenza dei social e “show” come dispositivi del consenso e della rinuncia al pensiero è di particolare attualità, soprattutto per quanto riguarda le giovani generazioni». Perché se fino a qualche decennio fa, aggiunge Castoro, «la crescita affettiva, psicologica, relazionale degli individui – e degli adolescenti in particolar modo – era costruita in base all’operato di precise agenzie sociali come la famiglia, la scuola, le strutture di tempo libero, i partiti, i contesti produttivi, mentre i media e la tv erano considerati “satellitari” rispetto al nucleo identitario, e senza particolari interferenze con la vita reale, oggi il rovesciamento è totale e si corre il rischio di ri-alfabetizzare la sfera comunitaria, oltre che i percorsi evolutivi».
 
Già. Per questo è necessario allargare la riflessione critica oltre le analisi autoreferenziali e spesso astratte degli specialismi accademici. Perché – scrive ancora Castoro - manca nell’odierno mainstream comunicativo «la temporalità “media”, quel­la dell’osservazione partecipata, della raffinazione delle emozioni, delle analisi complesse, dei punti di sintesi, delle letture allargate governate dalla serietà e dalla reale competenza di chi parla, e non dei soliti “vip” narcisi e mistificatori a microfono sempre aperto. E soprattutto manca l’elemento “di fuga”, quello che dopo la comprensione ci spinga a una trasformazione democratica dell’esistente e a un upgrade etico e deontologico di tutti, in tutti i campi della vita pubblica e privata». Un esercizio di corresponsabilità che è preludio di cittadinanza. Attiva.
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