Un appello per il "Leonardo Bianchi" al confronto di Psichiatria Democratica nell'Accademia di Belle Arti

Sergio Siano, interno dell'ex manicomio "Leonardo Bianchi"
Sergio Siano, interno dell'ex manicomio "Leonardo Bianchi"
di Donatella Trotta
Giovedì 19 Maggio 2016, 23:56 - Ultimo agg. 10 Giugno, 15:42
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Liberarsi. Dallo stigma sociale della malattia mentale, della disabilità, della diversità. Per tentare percorsi di autonomia e di inserimento sociale attraverso  una casa da abitare e, soprattutto, forme di lavoro che restituiscano dignità alla persona. Anche con un appello per restituire a Napoli l'intera area dell'ex manicomio "Leonardo Bianchi" ricavando così, con la messa a reddito dell'area, introiti e risorse ecomomiche per i centri di salute mentale che rilancino nel contempo la periferia nord della città.

Utopia? Più che altro, buone pratiche di una presa in carico che, in forme diverse, già avvengono sul piano nazionale in esperienze regionali di inclusione sociale attraverso i servizi di salute mentale e del privato sociale. Se ne parlerà venerdì 20 maggio a partire dalla ore 9 nell'Aula Magna dell'Accademia di Belle Arti di Napoli (via santa Maria di Costantinopoli 107) durante il seminario di studi dal titolo, appunto, «Liberarsi», promosso da Psichiatria Democratica. A introdurre i lavori del confronto, dopo i saluti del direttore dell'Accademia Giuseppe Gaeta, lo psichiatra Emilio Lupo,  segretario nazionale di Psichiatrica Democratica, e Salvatore Di Fede, responsabile nazionale dell'organizzazione dell'Associazione fondata da Franco Basaglia.

«I Centri di Salute Mentale (CSM) - anticipa Lupo - sono elementi fondamentali ed insostituibili della salute pubblica ed uno strumento di emancipazione collettiva territoriale contro gli stereotipi e i pregiudizi, ancora duri a morire. Per questo, vanno sostenuti e rafforzati con risorse umane ed economiche adeguate alle necessità dei quartieri dove si vive e si opera». Secondo lo psichiatra napoletano, «in quest'ottica i Centri Diurni di Riabilitazione (CDR) possono costituire, se hanno al centro del loro fare quotidiano un lavoro progressivo che punti alla libertà dal bisogno, un avamposto formidabile di democrazia partecipativa in grado di fornire risposte adeguate ai concreti bisogni dell’utenza».

Gli fa eco lo psichiatra Salvatore Di Fede: «inclusione sociale vuol  dire garantire alle persone in difficoltà di poter avere una chance sempre, anche quando ciò sembra davvero impossibile. La nostra esperienza ci dice, invece, che se le persone, e dunque operatori e utenti, si mettono insieme, a partire dai reali bisogni di ognuno, è quasi sempre possibile inventare soluzioni che non valgono solo per il singolo bensì per tutti, in quanto quell'invenzione travolge le prospettive relazionali e dunque impone una trasformazione di sistema dalla quale sarà difficile tornare indietro». Aggiunge Di Fede: «Nessuno è in grado di prendersi cura di uno psicotico se non è disposto a cambiare il mondo con lui: perché il problema sta tutto qui, la malattia mentale ci interroga sulla nostre incapacità e quindi sulle nostre resistenze, anche collettive. Il Seminario di Psichiatria Democratica è, al contrario di chi minaccia riforme della 180, il percorso ribadito e finalizzato alla costruzioni di luoghi condivisi dove fare analisi di quel che siamo, o siamo diventati, per adeguare i nostri sforzi, tra pubblico e privato sociale,  alle nuove sfide della crisi sociale, alla nuova sofferenza, per disegnare nuove strategie di Salute Mentale di Comunità. Non potremo fare tutto ciò se restiamo arroccati nelle posizioni istituzionali o di potere di gestione: dobbiamo viceversa operare la rivoluzione permanente delle nostre sicurezze/certezze, sfidando nella concretezza dei bisogni la verifica dei nostri paradigmi culturali e clinici».

Il vero problema, incalza Emilio Lupo, è infatti che «i Servizi rischiano la desertificazione, per effetto della spending review, dei tagli e della crisi economica. Insomma è in grave sofferenza - giorno dopo giorno - il collaudato sistema territoriale capace di leggere ed integrarsi con le realtà circostanti, fuoriuscendo da uno specifico sempre troppo stretto ed astratto». Un rischio sociale enorme, in tempi di crescente disagio di civiltà. Di qui l'esigenza di fare il punto su criticità ed esperienze positive: ne parleranno, nel confronto napoletano, i responsabili dei 12 centri napoletani e della provincia di Caserta (Sessa Uarunca e Mondragone), accanto ad esperti provenienti da Veneto (Elena Brigo), Puglia (Gianfranco Carbone), Basilicata (Edoardo De Ruggeri), Lazio (Giuseppina Gabriele) e Campania (Giuseppe Ortano), coordinati da Antonello D'Elia nella prima sessione dei lavori presieduti da Antonio Morlicchio. Un confronto volto, nella prima parte dei lavori, a indagare «dove vanno i servizi di salute mentale»; e, nella seconda parte, a passare in rassegna le esperienze dei Centri Diurni di riabilitazione, con il coordinamento di Ilario Volpi, responsabile nazionale della formazione di Psichiatria Democratica, e la presidenza di Fedele Maurano, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell'Asl Napoli 1 Centro.

Per l'occasione, verrà proiettato anche un corto di Carmine Agrillo dal titolo «Per uno sviluppo reale di pratiche di liberazione: le esperienze dei Centri Diurni», con la distribuzione del giornale Gazebo del Centro Diurno di Serra Refusa (Matera) e con gli interventi di operatori, utenti e responsabili dei CDR:  Rossana Calvano, Emma D’Ajetti, Tullio D’Amore, Roberta Formicola, Giovanni Madonna, Orietta Occhiuzzi, Marina Rossano, Alfredo Rubino, Francesco Sagnelli, Annamaria Staiano, Giacomo Smarrazzo (Presidente della Cooperativa sociale Era); Antonio Scala (Presidente della Cooperativa Sociale l’ Aquilone), Sergio D’Angelo (Consorzio Gesco - progetto inserimento lavorativo salute mentale), Arturo Letizia (Responsabile del CDR UOSM 23, Caserta), Daniela Sorrentino (responsabile del CDR Dipartimentale, Asl Napoli 1 Centro), e poi le Cooperative sociali Green (Mondragone) e Al di là dei sogni (Sessa Aurunca).

Precisa Salvatore Di Fede: «Nessuno è in grado di prendersi cura di uno psicotico se non è disposto a cambiare il mondo con lui: perché il problema sta tutto qui, la malattia mentale ci interroga sulla nostre incapacità e quindi sulle nostre resistenze, anche collettive. Il Seminario di Psichiatria Democratica è, al contrario di chi minaccia riforme della 180, il percorso ribadito e finalizzato alla costruzioni di luoghi condivisi dove fare analisi di quel che siamo, o siamo diventati, per adeguare i nostri sforzi, tra pubblico e privato sociale,  alle nuove sfide della crisi sociale, alla nuova sofferenza, per disegnare nuove strategie di Salute Mentale di Comunità. Non potremo fare tutto ciò se restiamo arroccati nelle posizioni istituzionali o di potere di gestione: dobbiamo viceversa operare la rivoluzione permanente delle nostre sicurezze/certezze, sfidando nella concretezza dei bisogni la verifica dei nostri paradigmi culturali e clinici. Psichiatria Democratica - conclude -  anche dopo il Seminario resta infatti impegnata a costruire in città, e in Italia, esperienze fattive di avanzamenti sociali per gli utenti dei Servizi di Salute Mentale, contro i tentativi di arrestare il processo di liberazione della capacità delle persone, che invece la 180 garantisce, attraverso la loro derubricazione a s/oggetti di soli interventi farmacologici  che, strapagati, mirano all'unico e mero controllo sociale della diversità, fino al suo nuovo minacciato internamento».

Parole dure, alle quali fanno eco le considerazioni di Emilio Lupo, che sottolinea: «Le esperienze maturate in questi anni ci fanno dire che il territorio diffuso è l’unico in grado fornire risposte a chi vive in condizione di grave sofferenza. Il ritorno alla custodia e cura, riprodurrà disagio e isolamento, con le famiglie che verranno lasciate sole e gli utenti subiranno una residenzialità asfittica e senza futuro attraverso una privatizzazione dell’intero sistema. Per Psichiatria Democratica c’è bisogno, invece, di concreti ed autentici percorsi di inclusione sociale, a partire dal fatto di poter favorire l’abitare, e non la residenzialità sine die, ovvero in una casa ed esti a pieno nel mondo del lavoro – altrimenti le persone in difficoltà rimarranno dei rimorchiati, eterni pazienti o comunque azzoppate, dipendenti. Oggi c’è bisogno di una parola di ottimismo e di ricostruire con tutti i soggetti sociali della città percorsi di liberazione. A questo proposito - conclude Lupo - Franco Basaglia riferendosi alla deistituzionalizzazione diceva: a cosa importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibile diventa possibile».










 
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