Tra Napoli e Parigi le magnifiche invenzioni di Fortuna a Palazzo Reale

Tra Napoli e Parigi le magnifiche invenzioni di Fortuna a Palazzo Reale
di Donatella Trotta
Sabato 3 Luglio 2021, 23:35
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Un originale libro d’immaginazione e di sogno. Ma anche un corposo romanzo storico che intreccia con sapienza affabulatrice fatti e personaggi, reali e inventati, sullo sfondo di Napoli e Parigi di fine Ottocento: epoca di grandi cambiamenti (politici, scientifici, sociali) e di fermenti culturali e artistici, destinati a trasformare la civiltà europea nella sua transizione dal secolo dei lumi al secolo breve. Ha scelto con coraggio un’architettura complessa e in apparenza inattuale, ma affascinante, Mara Fortuna, già autrice di racconti, per il suo primo romanzo: Le magnifiche invenzioni, al suo debutto con Giunti (pp. 390, euro 18) e con mentori del calibro di Antonella Cilento (di cui Fortuna, poliedrica insegnante, giornalista e scrittrice napoletana impegnata nel sociale, attenta alle questioni di genere e amante della danza, dei viaggi, della ricerca e del teatro, è stata allieva nei fecondi laboratori de Lalineascritta), Sergio Staino e Antonio Franchini. L’autrice ne dialogherà con chi scrive oggi, domenica 4 luglio, a NapoliCittàLibro 2021, la fiera dell’editoria in corso a Palazzo Reale (l’appuntamento è alle ore 13 nella Sala Procida, con letture di Cecilia Lupoli).

Ed è una scelta che senti dettata, in Mara Fortuna, da passione autentica e da profonda necessità interiore, leggendo pagine che scorrono fluide, eppure mai scontate né banali, emotivamente coinvolgenti e (spesso) persino sorprendenti, in cui l’autrice dissemina indizi e rivelazioni in un continuo gioco di rinvii: a partire dal breve antefatto, datato 1840 e ambientato in un paesino della Borgogna, per continuare con l’esergo tratto dal Frankenstein o il Moderno Prometeo di Mary Shelley, con la sua «fede nel meraviglioso» che «spinge fuori dai comuni sentieri percorsi dagli uomini» — frase chiave per la poetica sottesa al romanzo — fino a giungere all’incipit, nella Napoli post-colera del 1888 in cui prendono le mosse le rocambolesche vicende dei due protagonisti, i giovani fratelli Starace, orfani di padre caduti in disgrazia e perno su cui ruota la trama con i suoi personaggi, psicologie, luoghi e temi (iniziazioni, metamorfosi, iniquità e riscatto sociale, rivolte e fallimenti, amore e disillusioni, sogni e disincanto, arte e scienza, natura e cultura, identità e pregiudizi) che non ricostruiscono solo un vivido affresco d’epoca, ma interpellano anche la sensibilità dei contemporanei proprio come nella terzina dantesca del XXVI Canto dell’Inferno, quando Ulisse apostrofa i compagni dicendo: Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza.

Non a caso, è la grande Storia a fare da solida cornice al “quadro” dipinto, con le parole, dall’autrice intorno ai protagonisti: Gaetano, ex sguattero e poi ballerino del san Carlo aspirante étoile, vilipeso (anche) per la sua presunta omosessualità e il fratello Tunino, apprendista fabbro (per sostenere nella loro misera casa al Cavone l’inadeguata madre Rachelina, cagionevole di salute e affettivamente ricattatoria), ma aspirante inventore con il sogno di volare. L’incontro dei due ragazzi con  Étienne-Jules Marey, fisiologo e inventore realmente esistito ma oggi misconosciuto ai più (ed è merito dell’autrice averne ricostruito, dopo minuziose ricerche, la sua permanenza a Posillipo e il suo ruolo scientifico nella Napoli di Anton Dohrn e nella Francia positivista dell’Esposizione Universale), studioso dei movimenti, creatore del “fucile fotografico” e antesignano del cinema, ne cambierà definitivamente il destino.

Come la loro amicizia con Philippe, musicista anarchico e Apollonia, vitale servetta dalla voce di sirena temprata dalla povertà e da una sorte avversa, in uno snodarsi di eventi, sogni e scacchi che porteranno fra il resto i fratelli a Parigi, in piena Esposizione Universale e inaugurazione della Tour Eiffel, prima di tornare a Napoli, dove tutto giungerà a compimento.

L’intreccio delle storie individuali con la storia collettiva riverbera, nel romanzo, anche un costante nesso tra arti (musica, canto, danza, teatro) e scienza, su quel ponte simbolico tra Napoli e Parigi tante volte percorso anche, negli stessi anni, da figure di primo piano del giornalismo e della letteratura del tempo come Matilde Serao. Ma nel romanzo è Marey il coprotagonista reale di vicende tra fantasia e realtà che raccontano soprattutto la sfida del riscatto sociale, i cambiamenti d’epoca, la perseveranza nell’inseguire i propri sogni e la capacità (o incapacità) di rigenerarsi dopo le disillusioni dell’amore, sullo sfondo non oleografico del centro storico napoletano, della collina di Posillipo e di una Parigi di cui l’autrice, con un timbro personale e una cifra stilistica sorvegliatissima anche nel mistilinguismo, restituisce così nel testo atmosfere, ritratti e ambientazioni datate che conservano però una freschezza attualissima nel loro offrire visioni come caparbia capacità di guardare (e andare) oltre sentieri già battuti. E le “magnifiche invenzioni” del titolo sono, allora, proprio questo: il volo, il cinema, l’anarchia come utopia sociale perfetta.    

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