Difendeva i diritti umani e si batteva per il riconoscimento della libertà delle donne a frequentare la scuola, ad avere un lavoro, ad essere padrone della propria vita. La giornalista afghana Malalai Maiwan è stata uccisa da un gruppo di talebani, suscitando una ondata di protesta internazionale. L'agguato glielo hanno teso di mattina presto.
Un gruppo di uomini armati ancora non identificati hanno sparato a Maiwand e al suo autista nella città di Jalalabad, mentre si stava recando in ufficio, come ogni giorno.
Maiwand non è la prima della sua famiglia ad essere presa di mira. Cinque anni fa, sua madre, anch'essa attivista per i diritti delle donne, è stata uccisa da ignoti. Anche in quel caso un commando ha sparato. «Con l'uccisione di Malalai, il terreno professionale delle giornaliste si sta restringendo e le giornaliste potrebbero non osare continuare quello che facevano prima», ha detto Nai, un'organizzazione che sostiene i media in Afghanistan.
Diversi governi internazionali hanno espresso preoccupazione per una possibile inversione di tendenza dei progressi fatti sui diritti delle donne negli ultimi due decenni, se solo i Talebani ritornassero a qualsiasi tipo di potere con il ritiro delle truppe straniere dal Paese l'anno prossimo. La linea dei Talebani è stata segnata da leggi oppressive per le donne.