Perugia, padre abusa della figlia, condannato a 15 anni e 8 mesi. «Quel mostro mi chiedeva "Ti è piaciuto?"»

Perugia, padre abusa della figlia, condannato a 15 anni e 8 mesi. «Quel mostro mi chiedeva "Ti è piaciuto?"»
di Vanna Ugolini
Mercoledì 13 Gennaio 2021, 08:22 - Ultimo agg. 14 Gennaio, 09:28
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Quindici anni e otto mesi di condanna a un padre che ha violentato la propria bambina per anni e molestato l'altra figlia più piccola. Una sentenza «di giustizia» quella del tribunale di Perugia che accoglie le richieste del pm, Mara Pucci, che aveva chiesto 16 anni, non rimargina le ferite di quelle che oggi sono due giovani donne ma le ripaga della fiducia e del coraggio che hanno avuto nell'affidarsi alla giustizia. La sentenza è stata emessa ieri, 12 gennaio, in tarda serata, al tribunale di Perugia, dopo un processo durato quasi quattro anni, che vedeva come imputato (mai presente in aula) un operaio dell'alta Umbria, accusato del crimine più orribile. 

Un processo che ha avuto come cardine la testimonianza di E., la figlia abusata da piccola che, diventando più grande e consapevole, ha avuto il coraggio di uscire dalla "bolla" in cui si rinchiudeva per sopravvivere e di denunciare.

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Le parole di E.

cadono come gocce sul vetro. Trasparenti, limpide, con ritmo regolare. «Mio padre mi ha violentato per cinque anni, da quando ne avevo 13. Abusava di me quando mia madre era al lavoro, in casa, sul mio letto».

Le parole di E. sono carta vetrata sul cuore. «A 13 anni mi ha fatto provare il primo orgasmo. Ho provato piacere, mi sentivo in colpa. Non volevo che succedesse più. Ma è andato avanti. E quando lui, dopo, mi chiedeva "Ti è piaciuto?" io rispondevo di no».

E. adesso ha 26 anni, tra un mese si laureerà in psicologia, studia in Toscana ma vuole tornare a vivere in Umbria, dove ha le sue radici, la sua famiglia e dove vuole farsene una nuova. 

Sulla sentenza molto hanno influito le parole di E. e il suo coraggio. «Non ho parlato perchè non volevo far star male la mamma. Ma quando ho visto che lui aveva messo gli occhi addosso a mia sorella più piccola, ho denunciato. Sembra strano dirlo, ma quando tutti mi hanno creduto, mia madre, mia zia, le mie cugine, allora ho pensato "sono fortunata"».

E ha influito la precisione con cui, nonostante il dolore, è riuscita a guardare in faccia ai ricordi e a permettere alla polizia di ricostruire la lunga successione degli abusi, uno dopo l'altro, a partire dal primo: «La prima volta, quando è finita, non sapevo cosa fare. Mi sono seduta sul divano e ho acceso la televisione. Ricordo che guardai "Scherzi a parte" e il protagonista era Ceccherini».

A volte, le parole di E. non si possono ascoltare. Perlomeno non si vorrebbe farlo, non si vorrebbe sentire parlare di incesto, di vent'anni di abusi che, stando alle testimonianze, erano cominciati sulle cugine più grandi, da parte di un uomo che sotto l'aspetto mite e sorridente nasconde l'anima di un predatore sessuale. «Un manipolatore», spiegherà l'avvocata che difende E., Anna Maria Pacciarini. Perchè la denuncia di E. svela altri episodi, sulle due cugine, appunto quando erano bambine: loro non hanno denunciato ma hanno testimoniato al processo. Una di loro ha raccontato ai giudici che si era ammalata di anoressia nervosa. "Avevo smesso di mangiare perchè volevo diventare brutta e volevo che nessuno mi guardasse". 

Le parole di E. sono state come un ciclone, una tempesta anche per la sua famiglia, soprattutto per la madre, che non si era mai accorta di nulla ma che si è immediatamente separata dal marito e molto ha faticato per superare il senso di colpa di non aver intuito che quell'affetto tra padre e figlia travalicava ogni confine immaginabile. Ma ogni storia di violenza comincia da una relazione affettiva e d'amore e quando si ha a che fare con un manipolare che confonde i contorni, uno che dovrebbe essere il punto di riferimento per la tua vita, che ti prende per mano quando sei piccola e ti dice che quello che stai facendo è giusto e bello, è difficile riconoscere l'abuso sia per chi lo subisce sia per chi ne è spettatore inconsapevole. 

Le richiesta della pm. «Credo che di fronte a un abuso continuato e accertato in maniera così acclarata bisogna avere il coraggio e la serenità di dare un condanna giusta», ha detto la pm Mara Pucci, alla fine della sua requisitoria, dove ha ripercorso quattro anni di udienze processuale, a cui E. ha sempre assistito «mettendoci ogni volta la faccia insieme alla sorella». 

Il tradimento più profondo. «Le vittime di violenza minorenni sono doppiamente ferite, perchè la violenza provoca in loro uno squilibrio psicofisico. Sono private del diritto di essere figlie. Si sperimenta il tradimento più profondo, si perde fiducia in se stesse e nel mondo. Anche questo è un omicidio, la morte di una parte di sè. Per questo io chiedo una condanna non inferiore a 16 anni». Poi si è rivolta ad E. e alla sorella con parole di gratitudine.«Devo dire grazie alle parti offese, in particolare a E. La sua testimonianza era difficile ma è stata limpida e cristallina. Ha voluto portare avanti un percorso di rinascita e ha avuto fiducia nella giustizia». La richiesta  della pm, «abbiate coraggio, condannatelo a 16 anni» è stata quasi integralmente accolta dal Tribunale di Perugia, (presidente Carla Giangamboni), con la condanna a 15 anni e 8 mesi e con una lunga serie di interdizioni, divieti di avvicinamento a scuola e risarcimenti sia alle figlie sia all'associazione di Perugia Libertas Margot, rappresentata dall'avvocato Gemma Bracco, che aveva sostenuto la ragazza nel momento della denuncia e che si era costituita parte civile.  «Non possiamo che sottolineare come il riconoscimento del coraggio di queste ragazze sia anche un esempio per tutte le altre donne vittime di violenza che non trovano la forza di denunciare per paura di rimanere vittime di un sistema giudiziario farraginoso e lento.
Il percorso della denuncia non è mai facile ma è necessario. Sono queste donne, vittime di violenza come la giovane che fu violentata in discoteca nel 2011 e il cui aggressore è stato condannato con sentenza definitiva solo nel 2020, che con la loro tenacia, la fiducia che ripongono nella giustizia, la loro dolorosa fragilità ma anche la determinazione nel portare avanti un percorso di rinascita, gli eroi del nostro tempo, persone da cui prendere esempio nella vita»

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