Twitter, un hater su due insulta le donne: bersagliate sul lavoro e professionalità

Twitter, un hater su due insulta le donne: bersagliate sul lavoro e professionalità
di Sonia Montegiove
Mercoledì 24 Febbraio 2021, 09:03 - Ultimo agg. 26 Febbraio, 11:22
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Un hater su due, ovvero la metà degli odiatori su Twitter, nel 2020, complice la pandemia, ha avuto come bersaglio le donne, soprattutto lavoratrici. Un dato allarmante, se affiancato a quello che ha visto triplicarsi i femminicidi nel periodo del lockdown (marzo-giugno 2020), con un 77 per cento di donne uccise in famiglia.  
I numeri emergono con prepotenza dalla quinta edizione della Mappa dell’Intolleranza, voluta da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, e realizzata per analizzare il fenomeno dell’odio on line in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari Aldo Moro, Sapienza Università di Roma e It’s Stime dell’Università Cattolica di Milano. Una mappa che, nell’anno della pandemia, vede il consolidamento della misoginia (una costante di tutti gli anni di rilevazione) e il concentrarsi dell’odio su donne, ebrei e musulmani.
Degli oltre 1.300.000 tweet analizzati, i negativi sono stati più di 560.000 (il 43%), percentuale minore rispetto a quella rilevata nel 2019, ma con una ripartizione diversa: i cluster “pre-pandemia” vedevano tra i più colpiti i migranti (32,74%), seguiti da donne (26,27%), islamici (14,84%), disabili (10,99%), ebrei (10,01%) e omosessuali (5,14%). Nel 2020, occupano i primi due posti donne (49,91%) ed ebrei (18,45%), seguiti da migranti (14,40%), islamici (12,01%), omosessuali (3,28%) e disabili (1,95%).

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Oltre agli ormai “tradizionali” atteggiamenti di body shaming, ovvero la derisione o discriminazione delle donne per l’aspetto fisico, molti degli attacchi arrivati su Twitter, secondo il reporto di Vox, hanno come contenuto la competenza e la professionalità. Un elemento, questo, mai apparso con questa evidenza nelle rilevazioni precedenti.
I picchi più alti di parole e linguaggi di odio, mentre nei confronti dei musulmani si sono rilevati in concomitanza del rilascio della cooperante Silvia Romano, per la misoginia coincidono con alcuni femminicidi e, a luglio 2020, con il rinnegare da parte della Polonia l’accordo contro la violenza sulle donne in quanto “ispirato all’ideologia di genere e della lobby Lgbtq”. 

“L’alta percentuale di tweet d’odio rivolti alle donne è purtroppo una costante di questi cinque anni” - afferma Silvia Brena, giornalista, co-fondatrice di Vox e Ceo di Network Comunicazione. “Nell’anno della pandemia, abbiamo avuto conferma di quanto la misoginia sia ancora presente e ben radicata nella nostra società patriarcale e quanto, come successo negli ultimi mesi con lo smart working, il lavoro dentro le mura domestiche sia tollerato ancora di meno rispetto a quello svolto fuori casa. Lavoro che sottrae la donna al tempo di cura e al potere maschile, tanto da acuire la violenza nei maltrattanti, fino a sfociare nei tanti femminicidi di questi mesi”.

Dove si odia di più. Linguaggi di odio in calo secondo la Mappa dell’Intolleranza, ma più diffuso su tutto il territorio nazionale, senza le concentrazioni tipiche nelle grandi città che caratterizzavano le passate edizioni. Tra le regioni in cui più si concentra l’odio contro le donne ci sono Lazio, Campania e Puglia oltre a quasi tutto il nord Italia. 
Diversa la situazione su omofobia, ad esempio, diffusa a livello nazionale, ma con concentrazioni in Puglia e Sicilia, o l’antisemitismo presente soprattutto in Piemonte e Lombardia, oltre che nelle città di Roma e Napoli.
Perché contrastare l’odio on line?
Il progetto di mappatura dell’hate speech si è rivelato prezioso negli anni anche per individuare e combattere i fenomeni di cyberbullismo e dimostra “come i social media diventino un veicolo privilegiato di incitamento all’intolleranza e all’odio verso gruppi minoritari, data la correlazione sempre più significativa tra il ricorso a un certo tipo di linguaggio e la presenza di episodi di violenza”.

Crimini d'odio. I dati Ocse, del resto, indicano la crescita dei crimini d’odio in Italia, passati dai 555 del 2015 agli oltre 1000 del 2019: il segnale evidente di come i discorsi di odio possano “inquinare” la società, sfruttando strumenti come i social network per amplificarsi e penetrare meglio nelle comunità digitali (e pertanto reali). 
Cosa fare per contrastare l’hate speech?

Il gruppo di lavoro. Lo scorso 5 febbraio, è stato pubblicato, dopo quasi un anno di lavoro da parte di un gruppo di esperti, un rapporto con suggerimenti al Governo su misure di contrasto all’hate speech voluto dai Ministeri per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione e da quello della Giustizia e dal Sottosegretariatp di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega in materia di informazione ed editoria.
La strategia immaginata e suggerita dal rapporto si articola su tre livelli: azioni di prevenzione, con obiettivi di lungo termine, centrate sull’educazione civica e digitale, la cultura giuridica, la ricerca, l’informazione, la comunicazione; innovazione normativa capace di costruire un quadro giuridico adeguato all’ambiente digitale e sostegno a iniziative orientate a progettare e sperimentare nuove piattaforme e ambienti mediali in cui poter favorire l’infodiversità. 
Azioni che starà ora al nuovo Governo valutare e analizzare ed eventualmente trasformare in iniziative concrete che possano contribuire a ridurre quello che Andrea Camilleri, già qualche anno fa’, definiva come “il vento dell’odio, che è veramente atroce, lo si sente, palpabile, attorno a noi”.

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