Donne senza lavoro, ripartire è un'impresa. Ecco come reinventarsi dopo la crisi post Covid

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di Maria Lombardi
Mercoledì 27 Gennaio 2021, 16:39 - Ultimo agg. 17 Febbraio, 15:26
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Il futuro? Non ci sarà più, ce ne saranno tanti. E toccherà ogni volta inventarsene uno nuovo, immaginare un’altra strada, scrivere una storia diversa quando quella che rincorrevamo di colpo s’interrompe. Ricominciare, tornare al via come nel gioco dell’oca, diventare abili e veloci nel riprogrammare la rotta. Questione di sopravvivenza. La parola su cui scommettere d’ora in avanti è “ripartenza”. In tanti l’hanno già fatto, nell’anno sottosopra. Tutto fermo e chiuso, che si fa? Ci si muove, ma in un’altra direzione. E le donne, particolarmente esposte alla crisi Covid, più degli altri devono andare in cerca di un altrove e reinventarsi. Come Laura D’Andrea, foggiana di 35 anni, dalla piscina dove insegnava nuoto alla sartoria artigianale, o Cecilia, dalla moda all’impresa alimentare domestica, o Sofya Yuneeva, 28 anni, dalla lirica alle borse di pelle da restaurare. O come tante, tante altre. Si ingegnano, si riqualificano, rischiano. Imprenditrici di sé stesse nella nuova vita di lavoro, la precedente se l’è portata via la pandemia. Obbligati a ricominciare, per non restare fuori. Lo sapevamo già prima che il virus ci costringesse a una corsa senza precedenti. L’85% dei lavori che esisteranno nel 2030 non sono ancora stati inventati, all’orizzonte (nel mondo) 133 milioni di nuove opportunità. Non sapevamo però che l’avvenire era già qui e aveva fretta. «La capacità di affrontare nuovi inizi è una competenze chiave di questo secolo», Odile Robotti, amministratore unico di Learning Edge, nel suo libro “Il magico potere di ricominciare” (Mind Edizioni) parla di RestartAbility. «Il futuro appartiene alle persone che sanno reinventarsi e rinnovarsi. Ci troviamo di fronte a un nuovo inizio collettivo». Riguarda tutti e le donne in particolare, «i vasi di coccio di questa crisi».

L’EMERGENZA

In 470mila hanno perduto il lavoro tra il secondo trimestre del 2019 e quello del 2020, ora siamo già a quota 500mila. «Già prima della pandemia i numeri erano allarmanti, ora sono drammatici: e ancora non si è visto l’effetto dello sblocco dei licenziamenti. L’Italia sta lasciando indietro la metà della sua parte produttiva», Azzurra Rinaldi, docente di economia politica alla Sapienza, tra le ideatrici del movimento “Il giusto mezzo”. «Il mercato del lavoro in questo momento non le vuole, i settori più colpiti dalla crisi sono quelli relazionali, di contatto con il pubblico, tradizionalmente femminili. Il traguardo della parità nei congedi parentali è ancora lontano. Come possono reinventarsi le donne? Facendo impresa». C’erano segni di grande vitalità, prima della pandemia. Negli ultimi cinque anni le imprese femminili sono cresciute del 2,9%, il triplo di quelle maschili, secondo il rapporto di Unioncamere. E poi lo stop. Diecimila sono sparite in soli tre mesi, tra aprile e giugno 2020. «Il Covid le ha fiaccate. Ma bisogna invertire la tendenza, favorire l’imprenditoria femminile e la formazione, sostenere il lavoro autonomo». La legge di bilancio ha stanziato per le imprese “rosa” 20 milioni per il 2021 e altrettanto per il 2022. «Quaranta milioni in due anni sono niente, ce ne vogliono di più», sostiene l’economista della Sapienza. «Ci sarebbero anche i fondi del Next Generation Eu.

Considerando che nel settore verde e digitale ancora ci sono poche imprese femminili, le donne rischiano di prendere una minima parte del credito. E allora bisognerebbe prevedere criteri privilegiati nei Paesi che come l’Italia hanno squilibri di genere».

LE STRATEGIE

Tutto cambia e troppo velocemente. Si cade facilmente in questa giostra impazzita. «Per ricominciare la resilienza non basta», sostiene Robotti. «Ci vuole l’agilità del pivot, il giocatore del basket che gira su se stesso come un perno e cambia velocemente direzione». Verso cosa? «In questo momento principalmente verso micro-impresa, consulenze, freelancing. Ricaricarsi, ricostruirsi, rinnovarsi, ecco le tre tappe del restart. Per reinventarsi ci vuole una grande energia psicologica, tanto coraggio e un buon business plan. In Italia non c’è ancora questa cultura diffusa». Va dove ti porta il cuore? Meglio di no, «se non è stata fatta una buona analisi di mercato. Giusto seguire le proprie passioni ma solo dopo una verifica di realtà». Quasi 1.500 start-up create nell’anno della pandemia, cresce il crowfunding. Qualche segnale positivo tra tanti numeri disastrosi. Nascono net-work per sostenere chi si rimette in gioco. “GirlsRestart”, ragazze per la ripartenza, una community avviata durante il primo lockdown, 500 professioniste che offrono consigli per rilanciare business in difficoltà o crearne di nuovi. “Women at business”, una piattaforma per «rimettere in circolo le competenze femminili», grazie a un algoritmo combina i bisogni delle aziende con quelle delle donne. «Più networking», suggerisce Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D. «Le donne utilizzano ancora poco la rete delle proprie conoscenze per promuoversi. Far sapere al mondo quello che si è capaci di fare, lavorare sul personal branding, sono passaggi fondamentali della ripartenza. Così come riqualificarsi: reskilling è la parola d’ordine. Capire cosa manca alle proprie competenze, approfondire la formazione digitale, imprescindibile in qualsiasi direzione si voglia andare. Senza dimenticare le proprie passioni, è questo il momento per valorizzarle». Meglio attrezzarsi in tempo, «è in arrivo una nuova ondata di disoccupazione e le donne ancora una volta saranno le più colpite», prevede Falcomer.

DIGITALE

Il futuro sarà digitale, tecnologico e sostenibile, «in quella direzione va orientata la formazione», sottolineano le esperte del Young Women Network, che si occupa dell’empowerment delle giovani. Ma anche l’artigianato promette bene, il fatturato è cresciuto in questi mesi del 30 per cento. Potrebbe esserci un «boom di richieste nei servizi alla persona con i soldi che saranno investiti nelle infrastrutture sociali», avverte Falcomer. Dal coach al resilience manager agli esperti di logistica e-commerce, altre figure emergenti. La tecnologia non basta, si dovrà puntare anche sulle “soft-skill”, capacità di relazione, comunicazione, resistenza allo stress che non invecchiamo come le competenze. Ripartire significa pure ripensare se stesse. «Partendo dall’autostima, un aspetto delicato e vulnerabile per le donne», Laura De Chiara, executive coach e imprenditrice romana, è esperta di ripartenze. «Per ricominciare dobbiamo liberarci dalle gabbie mentali. I pregiudizi inconsci che ci hanno convinto ad essere le uniche a doverci occupare della cura dei figli e della famiglia sono una zavorra troppo grande in questo momento. Abbiamo conquistato l’indipendenza delegando ad altre donne la cura dei figli. Non siamo riuscite a insegnare agli uomini ad essere in questo totalmente complici». Sarebbe l’ora di cominciare a chiedere. «Quando ho lasciato l’azienda dove ero manager per lanciarmi nella mia impresa, mi sono detta: ricordati cosa sei riuscita a fare finora, non avere paura del cambiamento, degli errori e delle cadute. Da ogni caduta s’imparano nuove abilità».

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