Assunzioni al Sud, nel «Family act» arriva il bonus per le donne

Assunzioni al Sud, nel «Family act» arriva il bonus per le donne
di Nando Santonastaso
Sabato 13 Giugno 2020, 08:00 - Ultimo agg. 18:00
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Un incentivo di 8mila euro al datore di lavoro, come taglio dei contributi a suo carico, per ogni assunzione di donne disoccupate del Mezzogiorno, e comunque «prive di un impiego regolarmente retribuito», entro il 31 dicembre 2022. È la novità che il ministro per il Sud e la Coesione territoriale Peppe Provenzano ha fatto inserire nel testo finale del Family Act, il disegno di legge licenziato l'altra sera dal governo. La norma, che riconosce all'incentivo la durata di 36 mesi, si applica anche in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a tempo determinato. Per molti aspetti, ricalca la famosa decontribuzione introdotta nel 2015 dal governo Renzi e riservata in una prima fase solo ai giovani disoccupati under 35 del Sud (non a caso quell'anno si registrò il maggior numero di contratti di lavoro con quell'incentivo, poi esteso a livello nazionale). Oggi che il Covid-19 ha modificato del tutto lo scenario economico e occupazionale del Paese e amplificato l'allarme sulla crescita del divario tra Sud e Nord, il tentativo viene riproposto, puntando stavolta però specificamente sull'oceano della disoccupazione femminile meridionale, una delle chiavi di lettura più evidenti del ritardo di quest'area.

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Era da mesi un obiettivo prioritario del ministro, che solo pochi giorni prima era stato apprezzato (e non solo dalle donne) per essersi rifiutato di partecipare ad un dibattito on line i cui relatori erano solo uomini. Dal suo insediamento, lattenzione al tema dello scarso lavoro femminile al Sud è stata costante. Se ne trova traccia ad esempio nei titoli e nei relativi impegni finanziari previsti nel Piano straordinario per il Sud 2030 che però è rimasto al palo, travolto dalla pandemia e dall'emergenza economica. Ma che non ci sia più tempo da perdere lo dimostrano pochi ma inequivocabili dati, come quelli diffusi proprio un anno fa dalla Svimez: a marzo 2019 l'occupazione femminile nelle regioni meridionali era la più bassa d'Europa, inferiore perfino a quella della Guyana francese e dell'enclave marocchina di Melilla. Il divario rispetto alla media europea, già elevatissimo nel 2001 (circa 25 punti percentuali), si era ulteriormente ampliato, arrivando sopra i 30 punti, nel 2017. Confrontando il tasso di occupazione delle 19 regioni e delle due province autonome italiane con il resto delle 276 regioni europee, emergeva un quadro sconcertante. Solo la provincia di Bolzano collocata nella prima metà delle regioni europee, 92esima, con un tasso di occupazione femminile pari a 71,5%, seguita da Emilia Romagna (153) e Valle d'Aosta (154) e dalla provincia di Trento (175), con tassi di occupazione femminili intorno al 65%. Una percentuale in linea con la media europea dei 28 Paesi membri.

Profondamente distanziate le regioni del Mezzogiorno, tutte nelle ultime posizioni, con Puglia, Calabria, Campania e Sicilia nelle ultime quattro e valori del tasso di occupazione intorno al 30%, di circa 35 punti inferiori della media europea».

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Difficile pensare che qualcosa sia cambiato in un anno, anzi. L'Istat, a febbraio 2020, spiega che nel Mezzogiorno solo il 32,8% delle donne in età tra i 15 e i 64 anni lavora contro il circa 60% del Nord, un valore inferiore alla media nazionale delle donne nel 1977, quando si attestava intorno al 33,5%. Peraltro, sempre in base ai dati Istat, il tasso di occupazione maschile nel Mezzogiorno «viene superato da quello delle donne del Settentrione durante gli anni della recente crisi economica e il divario da allora non ha fatto che ampliarsi (dal +0,9% del 2012 al 3,3% del 2018».
 


La Svimez aveva anche messo in evidenza, riferendosi al 2018, che su un totale di 3 milioni 663 mila donne impegnate in lavori qualificati, appena 851mila erano meridionali, meno di un quarto del totale.
Non a caso, il tasso d'occupazione femminile per le donne in possesso di laurea è ancora molto basso al Sud, appena il 63,7%, contro una media dell'81,3% in Europa. Per non parlare poi delle differenze di genere sul salario: una donna laureata da quattro anni che lavora al Sud ha un reddito medio mensile netto di 300 euro inferiore a quello di un uomo (1000 euro contro 1300). A livello nazionale il differenziale è di poco inferiore circa 250 euro. Le donne lavoratrici dipendenti, inoltre, guadagnano in media 1.281 euro mensili nette se sono impegnate a tempo pieno, contro i 1.398 delle loro omologhe nel Centro-Nord.

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