Banche, test superati: gli istituti italiani senza affanni

Banche, test superati: gli istituti italiani senza affanni
di Rosario Dimito
Sabato 3 Novembre 2018, 12:00
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Le banche italiane stanno meglio delle francesi e tedesche, nonostante dal giorno della presentazione del Contratto di Lega e M5S (metà maggio) abbiano bruciato 43,1 miliardi. I quattro principali istituti italiani hanno superato a pieni voti gli stress test 2018 della Bce sotto il coordinamento Eba che ha coinvolto un campione di 48 istituti europei. Alcune grandi banche francesi, tedesche e spagnole però, pur sopra la soglia di sicurezza, negli scenari avversi sono risultati in affanno per i rischi di mercato (titoli tossici denominati level 2 e level 3) e i rischi di credito.
 
Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi e Banco Bpm, nell'ordine, con punteggi diversi, hanno passato la prova articolata negli scenari base e avverso, differenziati nelle stesse modalità di applicazione: fully loaded (cioè a regime nel recepimento dei criteri contabili Ifrs9 effettivi dal 2023) e transitional (criteri transitori dell'Ifrs9). La prova da sforzo si riferisce alla resilienza delle banche di fronte all'avvento improvviso di una maxi-recessione simulata nel triennio 2018-2020 con la previsione per l'Italia della deviazione negativa, rispetto alle previsioni Bce, del pil dell'1,9%, del tasso di disoccupazione del 2,2%, dei prezzi al consumo dell'1,7%, del crollo della Borsa del 24,9%. «Lo stress test di quest'anno non stabilisce una soglia minima di capitale da rispettare, e non prevede dunque promozioni o bocciature - si legge in una nota di Bankitalia -, ma rappresenta uno degli strumenti a disposizione delle autorità di vigilanza per valutare la capacità di tenuta del patrimonio delle banche». I risultati dell'esercizio «rientrano tra le informazioni utilizzate per la quantificazione del requisito di capitale di secondo pilastro (Pillar 2), in esito al processo di revisione e valutazione prudenziale Srep».

Dalle 18 di ieri sera c'è stata la pioggia di numeri da parte dei singoli istituti. Si consideri che il risultato più sensibile per le Autorità, mercato, investitori è l'indice Cet1 a regime nel 2020, rispetto a quello transitorio. I risultati dello scenario base costruiti anch'essi come quelli stressati, si basato sui dati al 31 dicembre 2017, ma sono privi di valore anche perché le regole europee non consentono di contabilizzare le misure e le operazioni straordinarie fatte nel 2018: Intesa Sanpaolo ha ceduto 10,8 miliardi di Npl a Intrum, Banco Bpm ha cartolarizzato con la Gacs 5,5 miliardi.

Nel dettaglio, nello scenario negativo estremo alla base dello stress test, primeggia nuovamente Intesa Sanpaolo che sopporterebbe una perdita di 219 punti base portando il Cet 1 9,66% contro 11,85% a fine 2017 mentre l'indice transitorio sarebbe del 10,40% contro il 13,04% di partenza; nello scenario base l'indice sarebbe del 13,04% con i criteri transitori e 12,28% a regime. «I risultati degli stress test collocano Intesa Sanpaolo ai vertici europei e confermano la nostra Banca un chiaro vincitore di questo esercizio», è il commento soddisfatto di Carlo Messina, «la solidità di Intesa Sanpaolo è elemento chiave nella fiducia che ci lega ai nostri clienti ed è alla base della decisione degli italiani di affidarci in gestione 1.000 miliardi di euro dei loro risparmi».

Intesa distanzia Unicredit che a regime dello scenario peggiore avrebbe un Cet1 al 9,34%, 346 punti base in meno rispetto a fine dicembre 2017; anche il dato transitorio coincide con quello a regime avendo adottato da subito l'Ifrs9; nello scenario base nel 2020 l'indice sarebbe al 13,76%, 96 punti base in più rispetto al di fine dicembre 2017. Ancora più distanziati Ubi e Banco Bpm. Il Cet1 di Ubi a regime avrebbe registrato un impatto negativo di 374 punti a 7,46% contro 11,2% di fine dicembre mentre l'indice transitorio si sarebbe ridotto di 338 a quota 8,32% nel 2020 da 11,70% a fine 2017. Regole metodologiche discutibili volute dalle Autorità Ue in materia di rischio di credito hanno rosicchiato gli indici del gruppo di Bergamo, così come altre norme sulla contabilizzazione dei costi di integrazione hanno appesantito Banco Bpm costringendolo a spesare nei tre anni oltre 500 milioni di oneri una tantum con un impatto di 525 pb: il Cet1 a regime sarebbe stato 6,67% (6,99% se avesse potuto sterilizzare i costi); l'indice transitorio sarebbe stato l'8,47% mentre nello scenario base il dato sarebbe stato 15,74%.
 
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