Buoni pasto: la guerra dei ribassi vinta dai colossi francesi

Buoni pasto: la guerra dei ribassi vinta dai colossi francesi
di Francesco Pacifico
Sabato 1 Settembre 2018, 08:00 - Ultimo agg. 16:53
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A giugno circa centomila lavoratori italiani si sono ritrovati con della carta straccia al posto dei loro buoni pasto. La società che li emetteva, la Qui Ticket di Genova, aveva smesso da mesi di versare il dovuto a bar, ristoranti, supermercati, spacci aziendali. Cioè a tutti gli esercenti che - fidandosi di quello che era il primo gruppo italiano del settore - avevano fornito pasti caldi o la spesa. I quali, di conseguenza, hanno smesso di accettarli. Risultato? «È come se ci avessero tolto almeno cento euro nette in busta paga», denuncia Laura, segretaria in un ufficio.

Tanto è bastato per gettare più di un'ombra sul più utilizzato e amato strumento di welfare aziendale: il buono pasto. Talmente di uso comune - come dimostra il giro d'affari da 3 miliardi di euro - che è diffuso con le stesse percentuali in tutte le parti d'Italia. Al Centro siamo al 59 per cento, nel ricco Nord Est e nel più debole Sud al 54, con il Nord Ovest che chiude la classifica al 45 per cento. Eppoi talmente entrato nell'economia domestica degli italiani, che il 60 per cento li accumula per fare la spesa settimanale.
 
La Qui Ticket di Gregorio Fogliani va verso il fallimento, la Consip gli ha ritirato la convenzione, mentre la procura di Genova sta indagando sul perché una realtà tanto poco solida sia riuscita nel 2016 ad aggiudicarsi due lotti da 100 milioni della maxi gara da 1,25 miliardi di euro tenuta dalla centrale unica. A breve, poi, il ministero della Pubblica amministrazione comunicherà il nuovo erogatore e con il disegno di legge Concretezza di prossima presentazione darà la possibilità ai travet di restituire i buoni pasto maturati e non spesi, avendone in cambio di nuovi. Ma al di là di questa vicenda l'industria dei ticket restaurant è tutt'altro che in crisi in Italia: del giro d'affari si è detto, offre i suoi servizi a 4 milioni di lavoratori e a quasi 100mila aziende, investe in tecnologia (ormai le aziende danno più maneggevoli badge al posto dei carnet cartacei). «Ed è un mercato con forti prospettive di crescita - nota l'economista Emmanuele Massagli, presidente dell'Anseb, Associazione nazionale società emettitrici buoni pasto - perché soltanto a un quarto dei dipendenti italiani viene concesso questo benefit».

Dopo la crisi di Qui Ticket, che ha una quota del 17 per cento, potrebbero rafforzarsi i grandi colossi francesi che già controllano il mercato. Sono nomi altisonanti come Edenred, Chèque Déjeuner, Sodexo, che da soli gestiscono il 70 per cento del business. Dalla parte di questi multinazionali c'è anche la capacità, grazie alla fortissima liquidità legata al perimetro internazionale, di ammortizzare meglio i ribassi che si registrano in fase di asta. Sfiorano anche il 30 per cento. Non a caso gli altri attori italiani che si dividono le briciole - Pellegrini con il 6 per cento del mercato, Repas con il 3 e altre piccolissime realtà regionali - recuperano in remunerazione soltanto alzando le commissioni agli esercenti. Al riguardo aggiunge Massagli: «Dalla loro i gruppi transalpini sfruttano anche l'esperienza data dal fatto che il buono pasto è nato proprio in Francia. Eppoi sono stati bravi nel rilevare piccole aziende italiane radicate sul territorio, come quelle nate nell'ambito delle grandi cooperative dell'Emilia Romagna».

Secondo gli esperti poi si è creata una piccola «bolla» da quando il governo Gentiloni ha autorizzato una pratica molto in uso, ma un tempo ufficialmente rigettata: cumulare i buoni, cioè unirli per raggiungere una cifra più alta e pagarsi la spesa o una cena in pizzeria per tutta la famiglia. Mentre il caso Qui Ticket dimostra la difficoltà di Consip nel controllare i suoi fornitori: le prime denunce risalgono a un anno fa, le ispezioni sono partite a inizio 2018. Comunque sia, per capire la crescita del fenomeno, basta dire che nel 2015 il fatturato totale era di 2,7 miliardi di euro e i lavoratori che li usavano 2,7 milioni. Gli esercenti, poi, fanno la fila per accettare i buoni pasto, visto che spingono i cosiddetti consumi di prossimità, cioè quelli presso bar, osterie o salumieri di quartiere, che scontano la concorrenza supermercati e catene del fast food. Stando a un sondaggio commissionato a Doxa da Endenred si è scoperto che c'è maggiore uso dei buoni nei locali gastronomici (45,7 per cento), seguono supermercati, nei bar/tavola fredda o calda (21,5), ristoranti (11,4) e negozi alimentari (9,5). Anche per questo nel 2015 l'allora governo decise di alzare la deducibilità da 5,9 a 7 euro, garantendo in questo modo un bonus annuo di circa 400 euro per ogni lavoratore, che sui buoni non pagano Irpef o contributi Inps come avviene per il resto del salario in busta paga.
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