Buonuscita statali, parola alla Consulta: mina da 15 miliardi

Buonuscita statali, parola alla Consulta: mina da 15 miliardi
di Andrea Bassi
Sabato 12 Gennaio 2019, 07:42 - Ultimo agg. 14 Gennaio, 11:08
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La buonuscita dei dipendenti pubblici rischia di diventare una mina sui conti pubblici. La norma che posticipa fino a 24 mesi il pagamento della liquidazione agli statali, è da tempo sotto esame della Corte Costituzionale dopo un ricorso presentato dal sindacato Unsa. E la decisione potrebbe arrivare in tempi brevi, sicuramente entro l'anno. Se la Consulta dovesse dichiarare illegittimo il pagamento posticipato delle liquidazioni, si aprirebbe immediatamente nei conti pubblici del 2019 un buco di 2,3 miliardi di euro. Ma una pronuncia in tal senso renderebbe poco sostenibile anche lo slittamento fino a 5 anni del versamento della buonuscita per i dipendenti che useranno lo scivolo di Quota 100, il pensionamento con 62 anni di età e 38 di contributi. In questo caso le cifre diventerebbero decisamente più rilevanti.

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L'ONERE
Secondo le stime del governo ci sono 126 mila statali che anticiperanno quest'anno l'uscita utilizzando il nuovo scivolo. Liquidare il loro Tfs tutto nel 2019 costerebbe 9,5 miliardi di euro al lordo delle ritenute Irpef. Insomma, in totale, se tutte le buonuscite fossero pagate quest'anno, lo Stato dovrebbe caricarsi un onere di quasi 20 miliardi di euro. Difficilmente sostenibile.
Nei giorni scorsi sono arrivati alla Consulta gli atti di costituzione dell'Inps e dell'Avvocatura generale dello Stato, a nome dela Presidenza del Consiglio, nei quali si anticipano le linee di difesa del governo e dell'Istituto di previdenza per evitare che la Corte dichiari incostituzionale il decreto 78 del 2010 che ha introdotto il congelamento fino a due anni delle buonuscite. Sia l'Inps che la Presidenza, sottolineano chiaramente un concetto: il differimento nel tempo del pagamento della liquidazione degli statali è stato un sacrificio necessario per garantire l'equilibrio finanziario dello Stato. E inoltre, sostengono, le buonuscite non sono state tagliate, ma solo posticipate nel tempo. Nemmeno ci sarebbe disparità di trattamento con i dipendenti privati, che invece ricevono subito il loro Tfr al momento del pensionamento, perché la liquidazione degli statali avrebbe un meccanismo di calcolo più favorevole.

IL GIUDIZIO
«Il rinvio del pagamento delle buonuscite», dice Massimo Battaglia, segretario generale Unsa, «è ormai diventato una misura strutturale, non ha più nessun legame con la crisi economica contingente. E poi», aggiunge, «non è vero che i dipendenti pubblici non ci perdono niente, ci perdono sicuramente la rivalutazione del capitale che non viene riconosciuta. Un problema», conclude, «destinato ad aggravarsi con lo slittamento di cinque anni previsto per chi utilizzerà lo scivolo di Quota 100».
Il governo, nel frattempo, sta studiando un modo per permettere che gli statali possano ottenere con un anticipo dalle banche i soldi della liquidazione. Se la somma riconosciuta fosse intera e gli interessi fossero completamente a carico dello Stato, il prestito potrebbe far venire meno anche il contendere davanti alla Corte, realizzando nella sostanza, lo stesso obiettivo della cancellazione della legge. Ma non sembra, almeno per ora, che la soluzione possa essere questa. L'accordo con le banche potrebbe comportare solo un rimborso parziale degli interessi a carico dei pensionandi pubblici, o l'aanticipo solo di una percentuale della liquidazione. E allora la spada di Damocle dei giudici resterebbe sulla testa del provvedimento.
 

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