Cantieri, il piano Sud
vale ottantamila occupati

Cantieri, il piano Sud vale ottantamila occupati
di Nando Santonastaso
Lunedì 11 Giugno 2018, 07:25 - Ultimo agg. 15:59
4 Minuti di Lettura
«È come se ogni anno la Fiat aprisse tre nuovi impianti in Italia» diceva qualche tempo fa Ennio Cascetta, esperto di infrastrutture e trasporti, a proposito degli effetti del Piano nazionale infrastrutture varato dal governo Gentiloni, 40 miliardi di investimenti, 220mila occupati in più di cui 70-80mila nel Mezzogiorno. 

Quel Piano, denominato «Connettere l’Italia», realizzato dal ministero dei Trasporti e allegato al Def 2018, è il punto quasi obbligato di riferimento del nuovo esecutivo gialloverde perché appalti, cantieri e priorità degli interventi dovranno passare l’esame della congruità costi-benefìci prima di essere confermati. 

Per la verità una prima scrematura rispetto ad analoghi obiettivi del passato era stata fatta dall’ex ministro Delrio ma ora che lo scenario politico è profondamente cambiato si riparte più o meno daccapo. Con la certezza che «il progressivo declino degli investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno» resta uno dei nodi primari da affrontare, come ricorda la Svimez nel Rapporto 2017. 

Perché al di là dei tempi e dei costi di realizzazione di opere a dir poco strategiche per il Sud come l’alta velocità e capacità ferroviaria Napoli-Bari o il raddoppio della linea Napoli-Reggio Calabria o ancora la ristrutturazione della strada statale Jonica, tutte opere di grande impegno finanziario per chiunque decide di metterle in campo, è questo il vero punto su cui discutere: «Le scelte di politica infrastrutturale hanno comportato una dotazione complessivamente più modesta e di minore qualità nel Mezzogiorno» scrive sempre la Svimez. 
Che dimostra, numeri alla mano, come il divario infrastrutturale del Sud aumenti «perché da troppo tempo qui si investe meno e più lentamente, con scelte qualitative maggiormente orientate prevalentemente a garantire un servizio di base con limitati miglioramenti quantitativi e tecnologici». 
L’ALTA VELOCITA’
Emblematico, a proposito di numeri, il caso dell’alta velocità ferroviaria: su 1.350 chilometri di rete in esercizio ben l’86,7% è localizzato nel centronord (1.170 km), e appena il 13,3% (180 km) nel Sud. E se si guarda al Piano infrastrutture speciali del 2016 si nota che la ripartizione territoriale delle risorse pubbliche è molto sperequata: il 68,2% dei costi, pari a 186 miliardi, si distribuisce al centronord, il 31,1% pari a 86,4 miliardi, nel Mezzogiorno.
Dice Natale Martucci, imprenditore calabrese del settore vitivinicolo che «l’impoverimento della dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno è incominciato da molto tempo ma l’attenzione dei media e del dibattito politico si è concentrata a lungo solo sulle grandi opere. Poca attenzione è stata dedicata cioè al deterioramento delle cosiddette infrastrutture di base, dalle strade alle reti ferroviarie locali». Eppure a nessuno sfugge che una buona dotazione di infrastrutture produce effetti strategici e determinanti su più fronti, dice Martucci. Si riducono ad esempio i costi fissi delle imprese favorendo sia l’incremento dei volumi di produzione di quelle già presenti sul territorio sia la localizzazione di nuove aziende. «Inoltre - insiste lo studioso – secondo la Nuova geografia economica i miglioramenti infrastrutturali possono influenzare la concentrazione spaziale delle attività economiche e rendere i mercati locali più accessibili». 
IL PORTO
Emblematico, per restare in Campania, il caso del mancato collegamento tra il Porto di Napoli e la rete ferroviaria. Ne ha parlato spesso, quando era vicepresidente dell’Unione industriali partenopea con delega alle infrastrutture, l’attuale nuovo presidente Vito Grassi e lo ha ribadito nella relazione programmatica del suo mandato: «Era e rimane un’assoluta priorità perché i benefìci sul sistema delle imprese e più in generale sulla qualità e la quantità degli scambi commerciali sarebbero evidenti in termini di competitività e di attrattività dei territori. Più in generale è necessario uno sforzo ulteriore per rilanciare la competitività del Mezzogiorno attraverso le infrastrutture, una variabile strutturale per il sistema produttivo».
E dal momento che i quattro corridoi europei multimodali della rete Ten.T rischiano oggettivamente di aumentare il divario tra le regioni del Centronord e il Mezzogiorno, c’è bisogno, osserva Grassi, di individuare le priorità: «Pochi interventi – agigunge – che possano garantire le condizioni di operatività delle nostre imprese e sui quali concentrare le risorse disponibili». L’istituzione della Zes potrebbe essere il tanto atteso segnale di un’inversione di tendenza ma a condizione, osserva ancora Grassi, che si superi «la dimensione meramente programmatica» che negli ultimi anni ha caratterizzato la nuova politica di attenzione al Mezzogiorno.
IL GAP
Il divario, questo è certo, è sotto gli occhi di tutti e non può essere ignorato, e neanche sottovalutato con troppa faciloneria. 
E se il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli quantifica in 180 miliardi il “valore” del gap infrastrutturale dell’Italia nei confronti dell’Europa, è difficile negare che la quota del Mezzogiorno superi il 50%. Perché a fronte di indubbi segnali positivi, come il completamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria portata a termine dopo oltre 30 anni dalla progettazione e una serie incredibile di «stop and go», o l’inaugurazione della stazione ferroviaria di Afragola, il peso dei ritardi negli investimenti e soprattutto nelle priorità degli interventi al Sud continua a farsi sentire.
Uno studio del Centro Arcelli per Luiss e Deloitte dimostra, non a caso, che gli investimenti infrastrutturali hanno un impatto positivo non solo sul Pil di un Paese ma anche sulla distribuzione del reddito. Territori più dotati di infrastrutture, in primis trasporti ed energia, sono caratterizzati da una distribuzione del reddito più equa: non sorprende di conseguenza, sempre in base allo studio in questione, che un terzo della maggiore disuguaglianza di reddito delle province meridionali rispetto a quelle del centronord sia dovuto alla più modesta dotazione infrastrutturale delle prime.
© RIPRODUZIONE RISERVATA