Cosa può fare (e cosa no) Cassa Depositi e Prestiti

di Nando Santonastaso
Martedì 19 Novembre 2019, 08:00
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È un intermediario finanziario non bancario, dice l'articolo 107 del Testo unico bancario a proposito del ruolo e della natura di Cassa Depositi e Prestiti. E sono proprio queste parole, al di là dei tecnicismi più consoni agli addetti ai lavori, a segnare il discrimine tra quanti credono possibile un intervento di Cdp per il futuro dell'Ilva e chi lo ritiene invece del tutto fuori luogo. È questo il confine, più politico per la verità che tecnico, tra chi ha sempre visto nell'Istituto controllato all'85% dal Tesoro (Il resto è nelle mani delle Fondazioni bancarie) il naturale successore dell'Iri e chi al contrario fa pesare l'esplicito divieto dello Statuto. Quello cioè che impedisce a Cdp di partecipare ad iniziative in imprese in perdita o in casi di salvataggio essendo, appunto, un intermediario finanziario e non una banca. Non è un caso che su questo punto la posizione delle Fondazioni bancarie sia sempre stata netta: il no espresso a più riprese dallo storico ex presidente Giuseppe Guzzetti fa parte ormai del Dna dell'Istituto e non si intravedono al momento cambi di posizione, come lo stop alle ipotesi di intervento nella crisi di Alitalia ha dimostrato.

Pensare dunque di forzare la mano, creando uno scontro con un azionista di minoranza assai forte e rappresentativo nello scenario finanziario italiano, appare dunque complicato. Ma la partita non è del tutto chiusa, come lo stesso ministro dell'Economia Gualtieri ha lasciato intendere anche se la strada maestra di un cambio dello Statuto appare a dir poco impervia. Senza poi dimenticare che sulle scelte di Cdp vigila sempre l'Eurostat e dunque l'Ue, con tutto ciò che vuol dire in termini di controllo (aiuti di Stato, concorrenza ecc.).

Per capire cosa potrebbe succedere, superando blandizie e fantasie della politica, bisogna allora fare qualche passo indietro. E ripartire dalla certezza che oggi Cassa Depositi e Prestiti è sicuramente il più grande conglomerato finanziario d'Italia con 500 miliardi di attivo e circa 300 miliardi di risparmio postale amministrati. Non essendo una banca e dovendo rendere conto del suo operato ai 27 milioni di italiani che posseggono un titolo postale (libretto, conto corrente ecc.) è evidente che i margini per speculazioni finanziarie si riducono praticamente a zero. La Cassa si è finora sempre tenuta lontana da aziende in dissesto (banche comprese, come nel caso delle Popolari venete) anche se proprio dopo l'ingresso delle Fondazioni ha allargato il suo raggio d'azione. Non più solo cassaforte dei pacchetti finanziari di enti importanti come Poste, Eni e Fincantieri, ma anche di fondi di private equity (F2I per le infrastrutture, ad esempio) fino ad acquisizioni in aziende competitive e alla recente partecipazione in Tim per lo sviluppo della banda larga nel sistema Paese (una missione legata ad Open Fiber, già partecipata dalla Cassa stessa). E' cresciuta insomma una dimensione di holding industriale che il nuovo Piano industriale 2019-2021 (200 miliardi di risorse in campo, 110 dei quali provenienti direttamente da Cdp) puntualmente sottolinea, aprendo nel contempo la strada ad una maggiore attenzione e vicinanza alle pmi anche meridionali come dimostra il recente protocollo siglato con Ubi a Napoli, il primo per le piccole aziende del Sud (attualmente alle imprese medio-grandi del Paese vengono destinati 83 miliardi nel triennio). Ma lo conferma anche l'obiettivo della Cassa di ampliare la presenza in tutta la penisola, con l'apertura di sedi territoriali sul modello già esistente in Francia, sfruttando la presenza di Sace (a Napoli l'inaugurazione è prevista per il 29 novembre). Prevista dal Piano industriale anche una maggiore sensibilità verso gli enti locali: non solo come ente finanziatore, ha spiegato l'ad Palermo, ma anche come affiancamento vero e proprio per colmare quel vuoto di progetti affidabili che spesso zavorra le amministrazioni locali.

In questo scenario il caso dell'ex Ilva resta comunque centrale. Cdp faceva parte della cordata Acciaitalia per Taranto, capitanata da Arvedi, che fu battuta da ArcelorMittal, e proprio per questo viene ogni giorno associata a eventuali, analoghe iniziative. Dall'ipotesi di un prestito ponte non appena la gestione commissariale tornerà ad insediarsi (sempre che così accada) alla partecipazione ad una nuova cordata (magari ancora con Arvedi). Fino all'ingresso con proprie quote in una nuova società con ArcelorMittal (se deciderà di restare) che ovviamente dovrà redigere un nuovo piano industriale per il futuro di Taranto. Tre scenari molto diversi tra di loro, come si comprende, su cui pesa però un dubbio di fondo: riuscirà la politica a farsi garante di questa scelta nei confronti dei creditori di Cdp, risparmiatori postali in testa, visto e ribadito che la Cassa non è e non sarà mai una banca?
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