Centri per l'impiego, al Sud sette su dieci in panne

Centri per l'impiego, al Sud sette su dieci in panne
di Nando Santonastaso
Domenica 16 Settembre 2018, 09:30 - Ultimo agg. 14:00
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Il costo complessivo della riforma è stato quantificato in 2,1 miliardi di euro e insieme al varo della cosiddetta pensione di cittadinanza dovrebbe garantire nella prossima manovra l'avvio dei Centri per l'impiego versione Reddito di cittadinanza. Per i 5 Stelle le risorse non mancherebbero e anche i 17 miliardi che dovrebbero consentire l'erogazione completa del Reddito ai circa 4 milioni di famiglie in povertà assoluta non sarebbero un problema. Per gli addetti ai lavori non schierati politicamente i dubbi invece ci sono. A cominciare dall'effettiva capacità dei Centri per l'impiego di essere all'altezza del nuovo compito dal momento che passerà attraverso di loro la gestione o per meglio dire l'istruttoria del Reddito di cittadinanza. Le carenze più vistose di queste strutture sono note: personale carente e una dotazione di supporti tecnologici a dir poco insufficiente e peraltro poco apprezzata dagli stessi utenti. Qualche numero: al Sud la mancanza di dotazioni informatiche è in media al 70% mentre nel Nord si ferma al 40%; nel Mezzogiorno la media di potenziali visitatori dei Centri è di 922 persone per ogni addetto contro le 801 della media nazionale. Complessivamente gli operatori in Italia sono circa 7.500, ormai pressoché tutti in carico alle Regioni (anche se la copertura degli stipendi resta un onere per lo Stato), un numero nemmeno paragonabile alla forza di altri Paesi, dalla Germania con 110mila unità alla Francia che ne schiera 45mila, alla Gran Bretagna che ne ha 60mila. Ma quel che forse dovrebbe preoccupare di più è che a fronte delle circa 500 strutture esistenti nel nostro Paese, non si riesce ancora a superare la modestissima soglia del 3% di disoccupati avviati al lavoro grazie ai Centri, che pure hanno una platea di potenziali utenti di 3 milioni di persone.
 
Naturalmente sarebbe a dir poco ingeneroso attribuire la responsabilità di una percentuale così bassa solo al personale di questi enti. In effetti in Italia, come ribadito dall'ultimo rapporto dell'Anpal, continuiamo a spendere male o meglio in maniera poco equilibrata le risorse destinate alle politiche del lavoro: su 30 miliardi all'anno, ben 22,3 vanno alle politiche passive (sussidi monetari a cassintegrati e disoccupati) e solo 7 a quelle attive (compresi gli incentivi all'occupazione). Ai Centri per l'impiego restano appena 700 milioni da spendere per i servizi da essi erogati, in pratica poco più di 200 euro a disoccupato mentre in Germania se ne investono oltre 6mila e in Olanda 3mila.

Non meraviglia dunque che in tale scenario sia decisamente improbo il compito dei Centri per l'impiego, ospitati spesso in strutture fatiscenti o poco funzionali (la Regione Campania ha destinato di recente un po' di milioni per interventi specifici in tal senso, compresi quelli che puntano al miglioramento della strumentazione tecnologica). Sempre in base alla ricerca Anpal si scopre che in tanti casi gli operatori si limitano alla presa in carico del soggetti che si rivolgono agli sportelli, non potendo peraltro offrire le figure specialistiche che al contrario dovrebbero essere una certezza importante per l'utenza. Attualmente infatti gli operatori amministrativi sono più di un quarto delle richieste di personale aggiuntivo mentre si lamenta soprattutto l'assenza di orientatori, di esperti in consulenza aziendale e di mediatori culturali. Sono in molti a chiedersi se basterà un forte investimento economico, come quello indicato dai 5 Stelle, a rispondere a queste perplessità, tenuto conto del fatto che il contributo che potrebbe arrivare dalle Regioni, specialmente nel Mezzogiorno, non si annuncia corposo. Basterebbe ricordare che di recente in Calabria è stato raggiunto un accordo, attraverso la pubblicazione di un avviso pubblico, per sanare la posizione di una settantina di lavoratori precari dei Centri per l'impiego della Regione. La vertenza, manco a dirlo, era in piedi da anni: quanti altri, si teme, ne dovranno passare per le nuove assunzioni che la riforma evidentemente prevede e che secondo stime mai ufficiali dovrebbe garantire migliaia di nuovi occupati?

Per la verità il percorso non inizia da zero. Nel senso che la legge di Bilancio 2018, varata dal precedente governo, ha previsto un finanziamento stabile di 251 milioni all'anno per potenziare il personale dei Cpi di 1600 unità. Inoltre da Confindustria è giunta un'apertura importante per collaborare alla riforma, impegno tutt'altro che marginale se si considera il ruolo decisivo delle imprese nel rapporto tra domanda e offerta di lavoro. Ma la strada appare in salita e non solo perché resta poco chiaro in che modo il governo recupererà i soldi necessari a sostenere il Reddito di cittadinanza per tutti i potenziali aventi diritto già nel 2019. L'ipotesi che l'anno prossimo si procederà soprattutto (o solo?) alla fase per così dire preliminare del Reddito rimandando l'eventuale erogazione del sussidio alla legge di Bilancio 2020, come in sostanza sostiene la Lega, è decisamente credibile.
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