Contratti a tempo determinato e precari: il flop del decreto dignità

Contratti a tempo determinato e precari: il flop del decreto dignità
di Francesco Pacifico
Giovedì 14 Marzo 2019, 12:00 - Ultimo agg. 13:07
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Nel luglio scorso, firmando il decreto Dignità, Luigi Di Maio aveva promesso «una Waterloo contro il precariato». Ma a leggere in filigrana e a livello annuo gli ultimi dati diffusi dall'Istat sulla disoccupazione (il tasso complessivo è sceso nel 2018 al 10,6 per cento), il ministro del Lavoro non è ancora riuscito a frenare il ricorso, ancora massiccio, che le aziende fanno dei contratti a tempo determinato. Il tutto nonostante i paletti inseriti con il provvedimento: cioè il tetto dei 24 mesi massimi di durata per un rapporto precario, l'obbligo delle causali in caso di rinnovo dopo i 12 mesi, un'addizionale contributiva dello 0,5 per cento per ogni rinnovo.

In quest'ottica, aiuta a capire il trend esistente l'ultima rilevazione dell'Istat sul quarto trimestre dello scorso anno: cioè lo stesso periodo nel quale il decreto Dignità ha avuto i suoi primi reali impatti (al netto dell'effetto di scoraggiamento verso le imprese a ricorrere il precariato), il Pil è calato dello 0,1 per cento, la produzione industriale dell'1,1 e il Paese è tornato in recessione. Una fase non ottimale per trovare lavoro. Negli ultimi tre mesi del 2018 il numero dei contratti a tempo determinato sono stati 3,08 milioni, in calo soltanto di 0,3 per cento, cioè di circa 9mila rispetto ai tre mesi precedenti. Ma confrontando a livello annuo la stessa voce - i contratti a termine tra il quarto trimestre del 2017 e quelli dello stesso periodo del 2018 - i tempi determinati sono cresciuti di 15mila unità, cioè del 7 per cento.
 
Pare lontano, poi, l'altro grande obiettivo del ministro Di Maio: cioè spingere le aziende a stabilizzare i precari con assunzioni a tempo indeterminato. A livello congiunturale, cioè tra il terzo e il quarto trimestre, l'aumento di questi contratti è stato quasi pari a zero. Tanto che l'Istat ha messo nero su bianco nella nota esplicativa dei suoi dati: «Dalla condizione di disoccupazione aumentano le transizioni verso l'inattività, soprattutto tra i giovani di 15-24 anni, gli uomini e nel Mezzogiorno».

Nota l'economista Giuliano Cazzola, già presidente del Civ Inps e segretario confederale della Cgil: «Bisogna fare riferimento sia ai trend dei diversi trimestri del 2018 sia ai dati tendenziali, tenendo conto del fatto che il decreto dignità ha iniziato a produrre effetti da novembre. In sostanza, i dati positivi si verificano nella prima parte dell'anno e tendono a compensare in parte quelli peggiori degli ultimi trimestri. Il che si determina certamente per effetto della decrescita dell'economia, ma non si modifica la composizione dei flussi di occupazione, dove continuano a prevalere le assunzioni a tempo determinato». Per poi concludere: «Negli ultimi mesi del 2018 non si vedono gli effetti del decreto dignità, ma se si getta uno sguardo nei primi mesi dell'anno in corso emerge con chiarezza che non solo non cresce l'occupazione, ma che non cambia nel senso di una maggiore stabilizzazione».

I paletti al ricorso di contratti a tempo determinato potrebbero avere avuto maggiore impatto nel Mezzogiorno, dove il tasso di disoccupazione è stato quasi triplo (al 18,4 per cento) rispetto al Nord (6,6) e doppio rispetto al Centro (9,4). In Sicilia, per esempio, si sono persi 19mila posti in un comparto molto soggetto alla flessibilità come i servizi. Intanto Roberto Camera, funzionario dell'Ispettorato del Lavoro durante un convegno organizzato dell'Ipsoa nei mesi scorsi, ha spiegato che i paletti al precariato sono aggirabili. Ha segnalato che «le aziende si trovano ad applicare una norma (il decreto dignità, ndr) altamente interpretabile, senza una regola precisa e con una serie di vincoli non chiari. Ad esempio la limitazione dei 24 mesi, nella realtà, non c'è». Anche perché spesso le parti fanno riferimento ai singoli contratti di lavoro, dove la durata massima per i rapporti a tempo determinato cambia in base alla categoria: per l'industria metalmeccanica è di 44 mesi, per i chimici e farmaceutici di 54 mesi, per i lavoratori del vetro 54 mesi, per i lavoratori di Anpal Servizi spa 82 mesi. «Basta applicare - aggiunge Cazzola - il famoso articolo 8 del disegno di legge 138 del 2011, quello voluto dall'ex ministro Maurizio Sacconi, che permetteva a imprese e sindacati di derogare ad alcune norme in alcune materie come il licenziamento. Bene, come è successo con la legge Biagi, certe cose si fanno e non si dicono con il risultato che per non licenziare i contrattisti con 24 mesi, le parti si rifanno a quella legge per confermarli, derogando alle disposizioni del decreto Dignità».
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