Coronavirus, made in Italy a rischio: in Campania è allarme per moda e abbigliamento

Coronavirus, made in Italy a rischio: in Campania è allarme per moda e abbigliamento
di Nando Santonastaso
Martedì 25 Febbraio 2020, 09:00 - Ultimo agg. 10:42
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Antimo Caputo, imprenditore leader in Italia nella produzione di farine di altissima qualità, ha almeno tre buoni motivi per essere preoccupato. L'impatto economico del coronavirus e della psicosi che ne sta derivando rischia infatti di non essere affatto trascurabile per l'azienda di famiglia, che esporta in tutta Europa e complessivamente in 80 Paesi esteri: «Siamo stati costretti a sospendere tutte le attività promozionali che avevamo organizzato a livello internazionale. C'è molta paura verso l'Italia: ho dovuto annullare un incontro a Tokyo organizzato da sei mesi», dice. E aggiunge: «Ma c'è anche un calo della ristorazione: la gente esce di meno, frequenta poco i ristoranti e le pizzerie e per noi fornitori di farine le conseguenze si fanno sentire. E c'è un terzo problema, relativo ai trasporti: è diventato assai difficile spedire il nostro prodotto perché si allestiscono soprattutto treni di prodotti freschi e freschissimi. C'è la corsa a riempire gli scaffali dei supermercati svuotati dall'irrazionale corsa all'acquisto di questi giorni e per il prodotto secco tutto diventa complicato. La gente però dovrebbe sapere che gli alimentari freschi e freschissimi non consumati dopo 7 giorni rischiano di deperire: si va verso uno spreco alimentare assurdo. Per questo il governo e le autorità regionali dovrebbero fare chiarezza e al più presto».
 
 

L'allarme dell'imprenditore napoletano è la punta di un iceberg di dimensioni non del tutto quantificabili ma sicuramente da non sottovalutare. In Campania, spiega Salvo Capasso, responsabile Economia e territori di Srm, il Centro studi e ricerche sul Mezzogiorno del Gruppo Intesa Sanpaolo, i rischi maggiori pesano su alcune filiere produttive, moda e abbigliamento in primo piano, turismo subito dopo. «Parliamo di settori, soprattutto i primi due, che partecipano come terzisti alle filiere nazionali e che dunque, come succede in tutti i periodi di crisi, rischiano di subire il contraccolpo più pesante. Se si calcola che Banca d'Italia ha stimato un calo presumibile dello 0,2-0,3% del Pil nazionale a causa degli effetti del virus, si può ben capire che economie più deboli come quella meridionale siano molto più esposte. Naturalmente, ogni valutazione dipenderà dalla durata del rischio-contagio ma, ad esempio, una possibile frenata per il turismo in Campania, che proprio in questi mesi sta ottenendo performances molto incoraggianti, non sarebbe affatto trascurabile».
 

Meno ore lavorate, danno potenziale all'immagine, incertezza e recessione i nemici dei terzisti. E a tremare sono anche le imprese manifatturiere, già costrette a fare i conti con lo stop all'import dalla Cina di componenti tecnologiche indispensabili per i loro prodotti. Dice Giovanni Lombardi, napoletano, fondatore di Tecno, player di riferimento nel comparto dell'efficienza energetica, da più di 20 anni impegnato nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni sostenibili: «Dai dati che rileviamo dalle nostre piattaforme in Campania, e non solo, già oggi c'è una riduzione della produzione di circa il 30% perché, appunto, mancano pezzi dalla Cina o comunque dall'Asia. A breve termine prevediamo di dover fare i conti anche con le conseguenze dello scenario del Coronavirus al Nord. Mi riferisco in particolare al settore delle cave e delle estrazioni che è strettamente collegato al mercato delle costruzioni e dell'arredamento. E al comparto della meccanica, che per l'interdipendenza con le aziende del Nord rischia un brusco rallentamento». Lo stesso vale per automotive e aerospazio, insiste Lombardi, che ha annunciato peraltro proprio ieri una nuova campagna di 140 assunzioni per sviluppare la crescita di KontroION, il sistema di monitoraggio dei consumi e della produzione che digitalizza tutti i dati relativi ai consumi energetici e della produzione, fornendo agli imprenditori notizie fondamentali per l'analisi dei processi finora reperite manualmente. «Per anni abbiamo creduto che la Cina potesse essere la fabbrica del mondo, oggi le aziende stanno studiando come diversificare i loro siti produttivi. I clienti che hanno piattaforme come la nostra e hanno digitalizzato processi e procedure riescono da remoto a seguire la produzione, ma gli altri no. Di sicuro, dagli impianti che seguiamo possiamo già affermare che c'è un surplus produttivo nei Paesi dell'Europa dell'Est, per soddisfare il mercato europeo e quello russo, e nel Nord America per il resto del mondo». 
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