Coronavirus e reddito d’emergenza: l’atteso «mezzo flop» italiano

Coronavirus e reddito d’emergenza: l’atteso «mezzo flop» italiano
di Nando Santonastaso
Sabato 1 Agosto 2020, 23:00 - Ultimo agg. 2 Agosto, 09:12
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L’obiettivo del governo per ora è rimasto lontano, irraggiungibile. Scaduti l’altro giorno i termini per la presentazione delle domande, il primo bilancio del Reddito di emergenza è insoddisfacente almeno rispetto alle previsioni. Su 2 milioni di potenziali beneficiari, pari a circa 867mila famiglie, secondo le stime della ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, la misura ne ha raggiunti solo un quarto, grazie peraltro alla proroga decisa in corso d‘opera di spostare dal 30 giugno al 31 luglio la scadenza delle richieste. La metà delle circa 460mila domande pervenute all’Inps non era infatti in regola e i 30 giorni in più sono serviti a integrare la documentazione. A conti fatti, finora hanno ricevuto una mensilità del Rem poco più di 200mila famiglie residenti soprattutto in Campania, Sicilia e Lazio. 

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I NUMERI
Numeri modesti ma forse non del tutto inattesi considerata la specificità di questo sussidio, non cumulabile né con la Cassa integrazione e con il Reddito di cittadinanza, né con la Naspi, ma neanche con i vari bonus previsti dai decreti anti-Covid del governo. Non è bastato nemmeno uno spot televisivo, in ritardo peraltro, a rilanciarne l’attenzione ma è proprio su questo punto che ora insistono i sostenitori del Rem, dall’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile di Enrico Giovannini al Forum delle disuguaglianze di Fabrizio Barca. Viene sollecitata un’ulteriore proroga per le istanze, fino al 15 settembre stavolta, per consentire una presa di coscienza ma soprattutto di conoscenza a chi finora non avrebbe compreso il valore di questo provvedimento. Non ci sarebbe, in effetti, alcun problema di copertura visto che le risorse stanziate dall’esecutivo garantiscono comunque fino a 2 milioni di beneficiari. E anche sul piano organizzativo, è apparsa opportuna la circolare dell’Inps che ha reso possibile, per ottenere il Reddito di emergenza, passare anche attraverso i servizi dei Caf, i Centri di assistenza fiscale. Ma evidentemente il modesto impatto registrato finora, in una fase peraltro sempre molto critica dell’economia nazionale con pesanti ricadute su ceti deboli ed emarginati, lascia intendere che il vero problema non è procedurale o finanziario. Proviamo a capire perché. 

LAVORO NERO
Il Reddito di emergenza avrebbe dovuto raggiungere le centinaia di migliaia di italiani e stranieri residenti nel nostro Paese che non sono tutelati da alcun sostegno o aiuto economico. Come i lavoratori in nero, ipotizzando una loro graduale emersione sul piano fiscale e dei diritti assistenziali. E le famiglie con un reddito bassissimo e comunque inferiore al sussidio, purché con Isee inferiore a 15mila euro e un patrimonio mobiliare familiare 2019 più nasso di 10mila euro. Ma già qui, in fase di definizione della misura, erano emersi non pochi dubbi: procedure complicate e un Isee troppo alto, avevano detto Forum Disuguaglianze e ASviS, preoccupate del rischio di non riuscire a raggiungere chi del Rem ha effettivamente bisogno. Poi il nodo della durata del Reddito di emergenza, limitata a soli due mesi, con assegni compresi tra 400 euro per un single e fino a 800 euro per i nuclei familiari numerosi e a 840 euro per la presenza di un disabile. Di qui la considerazione che il Rem è stato pensato soprattutto «come intervento residuale rispetto alle altre misure introdotte per fronteggiare il Covid-19, con un’architettura che ricalca per alcuni versi quella del Reddito di cittadinanza e per altri se ne discosta», come osservano Giovanni Gallo e Michele Raitano su Eticaeconomia.it. Ma cosa succederà, ad emergenza conclusa, di questi nuclei non più assistiti? E soprattutto, come verranno “recuperati” coloro che continueranno a lavorare nel sommerso e non saranno stati coinvolti né dal Rem né dal Reddito di cittadinanza? Sullo sfondo, come osserva l’economista della Luiss Giuseppe Di Taranto, c’è una valutazione più complessa da fare, che attiene a scelte di politica economico-sociale sulle quali il nostro Paese dovrà riflettere attentamente: «Non si può andare avanti con interventi a pioggia e di durata brevissima. Ricordo che una buona parte dei 209 miliardi che abbiamo ottenuto attraverso il Recovery Fund li dovremo restituire. Io capisco la difficoltà delle famiglie ma perché aggiungere al Reddito di cittadinanza una misura più o meno simile con il rischio di sprecare altro denaro pubblico senza alcuna visione di lungo periodo anche in materia di Welfare? L’economia – conclude Di Taranto - si salverà soltanto aumentando l’occupazione e per questo servono le riforme che la stessa Europa ci sollecita.

La stagione dei provvedimenti tampone o a pioggia, come accadeva un tempo per il Mezzogiorno, dobbiamo lasciarcela alle spalle in fretta».

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