«Deficit più alto e giù le tasse»: il piano del Pd per convincere Bruxelles

«Deficit più alto e giù le tasse»: il piano del Pd per convincere Bruxelles
di Luca Cifoni e Marco Conti
Lunedì 10 Luglio 2017, 11:22 - Ultimo agg. 15:54
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Il tabù sulla revisione dei trattati europei è caduto con l'elezione all'Eliseo di Emmanuel Macron. E se il dogma non c'è per l'esistente tantomeno può esserci per il fiscal compact che ancora non è stato inserito nei trattati. Matteo Renzi parte da quest'assunto per rilanciare un tema che per la verità aveva cominciato a mettere già in discussione quando era a palazzo Chigi, e che l'attuale governo di Paolo Gentiloni ha fatto suo. Poco prima del consiglio europeo di giugno era stato il sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi a sostenere in Parlamento la linea della revisione di un meccanismo introdotto cinque anni fa e al quale entro l'anno scade il tagliando, come si legge dall'articolo 16. Renzi nel suo libro scrive che l'Italia porrà il veto all'introduzione del fiscal compact nei trattati- Un assorbimento - negato dall'Italia - che a Bruxelles qualcuno ritiene automatica.

IL PATTO
Il patto di legislatura che Renzi propone all'Europa parte dall'assunto che dalle prossime elezioni possa uscire un governo stabile e di legislatura in grado di stringere un'intesa - flessibilità in cambio di riforme - con Bruxelles e Francoforte in grado di offrire risorse «per ridurre la pressione fiscale a famiglie e imprese», come sostiene il vicesegretario del Pd Maurizio Martina. Presupposti non facili vista la legge elettorale esistente, ma che per il segretario del Pd segnano la necessità che ha il nostro Paese di sedersi al tavolo franco-tedesco dove si discuterà non solo di fiscal compact ma dell'intera struttura della zona euro. L'Italia che ha in mente Renzi non solo rifiuta l'automatismo ma deve esserci all'appuntamento nel quale si deciderà se e come aggiornare i trattati della zona euro. Per Renzi non si tratta però solo di completare l'unione economica e monetaria, come sostengono a Bruxelles dove ritengono intoccabile tutto ciò che è stato fatto sinora, ma valutare criticamente alcune regole inserite durante la tempesta finanziaria quando era necessario fare da sponda alla Bce di Mario Draghi e al primo quantitative easing. Quando era una condizione aderire al fiscal compact per accedere ai meccanismi di stabilità. Uno scenario da tempesta finanziario che - al di là delle valutazioni - per Renzi ora non c'è più. Oggi la priorità - scrive Renzi - è la crescita e lavorare per una politica degli investimenti e di lotta alla disoccupazione. Rimettere in discussione l'approccio unicamente rigorista significa per il segretario del Pd, «continuare a lavorare per un'Europa diversa dall'attuale». Riformare la zona euro significa tornare a Maastricht e al deficit al 3% e non allo zero. Tantomeno pensare che dal 2018 l'Italia debba tagliare spesa per trenta miliardi per rientrare dal debito senza curarsi della crescita. Un'idea di Europa, quella di Renzi, che oltre a scontare sul piano interno le perplessità dei super-europeisti alla Benedetto Della Vedova, rischia di scontrarsi - dopo il voto in Germania - con il rinsaldato asse franco-tedesco. A Parigi più che a Berlino Renzi parla quando minaccia di non porre il veto sul bilancio comunitario 2020 e di non versare più il contributo all'Europa - circa venti miliardi - se non verranno sanzionati i paesi sotto procedura d'infrazione per non aver accolto i migranti.

Ma come verrebbe usato il margine di riduzione del prelievo che scatterebbe tenendo il rapporto deficit/Pil al 2,9 per cento, margine quantificato dall'ex premier in 30 miliardi l'anno? Ci sono molti dossier già aperti a cui - salvo sorprese sempre possibili - non verrà dato seguito nella prossima legge di bilancio (che punta tutto sulla riduzione del cuneo fiscale) e dunque saranno ereditati dalla prossima legislatura, magari sotto forma di Libro bianco. Al primo posto c'è naturalmente l'Irpef, la cui sostanziosa riduzione dovrebbe trovare il suo filo rosso nel premio alle famiglie, come ribadito da Tommaso Nannicini. Per le imprese il calo delle imposte andrebbe di pari passo con la semplificazione del sistema: nel mirino c'è l'Irap destinata a essere ulteriormente ridimensionata o addirittura a sparire assorbita nell'imposta sul reddito (per le società l'Ires). Artigiani e piccole imprese si avvantaggerebbero di una piena deducibilità dell'Imu e potrebbe sparire qualche altro tributo minore. Ma il menu esatto dipenderà naturalmente dalla dote su cui potrà contare il prossimo esecutivo.