I fondi chiedono il fallimento di Moby

I fondi chiedono il fallimento di Moby
di Antonino Pane
Mercoledì 25 Settembre 2019, 07:00 - Ultimo agg. 17:41
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È una guerra senza esclusione di colpi quella che si sta combattendo tra alcuni hedge fund e Vincenzo Onorato, il vulcanico armatore al timone del gruppo Moby-Tirrenia. Una guerra che rischia di avere strascichi importanti: i possessori di un bond da 300 milioni di Moby, con scadenza 2023, infatti, hanno presentato tutti insieme istanza di fallimento di Moby al Tribunale di Milano. Apriti cielo, un affronto diretto, ritenuto dalla famiglia Onorato una vera e propria speculazione mirata contro il gruppo. E la reazione non si è fatta attendere: è sceso in campo lo stesso armatore con una nota inviata ai marittimi italiani, per i quali è diventato punto di riferimento per le sue battaglie in favore dell'occupazione.
 
«Onorato Armatori è sotto attacco - precisa - da parte di fondi speculativi, con sede in paradisi fiscali, che mirano ad attaccare il patrimonio dell'azienda il cui valore supera il miliardo di euro. La Compagnia è sana e solida e, come già comunicato agli investitori, i conti di quest'anno mostrano pressoché il raddoppio dei risultati dello scorso anno. Abbiamo sempre pagato con regolarità - prosegue la nota di Onorato - i nostri impegni nei confronti delle banche e degli investitori e, purtroppo, per questi fondi speculativi godiamo di buona salute con una flotta che si sta evolvendo e aumentando, anche e soprattutto con nuove costruzioni, sempre più orientata alla crescita e al benessere dei propri lavoratori. Confido nell'operato della magistratura italiana in difesa dei nostri diritti e, soprattutto, del nostro lavoro. Con Voi, come sempre». Un documento che ha scatenato mobilitazione sui social in difesa di Onorato con messaggi partiti soprattutto da Torre del Greco e dalla Sardegna, roccaforti del gruppo.

Ma come inizia questa guerra? I fondi hanno messo nel mirino innanzitutto la situazione finanziaria dell'azienda. A preoccupare particolarmente sarebbero state le cessioni di due navi al gruppo danese Dfds. Non due navi eccedenti, secondo gli analisti, perché contestualmente c'è stato l'acquisto di altre due unità dall'armatore danese. Una operazione ritenuta mirata a incassare, perché sono state vendute la Wonder e la Aki, rispettivamente costruite nel 2001 e del 2005, mentre quelle acquistate, King Seaways e Princess Seaways sono state costruite rispettivamente nel 1987 e 1986.

Insomma secondo i fondi ci sarebbe, con la cessione di due beni di valore dell'azienda, il rischio di una insolvenza in futuro. Da qui l'istanza di fallimento. Seguita subito a ruota da una nota in cui Moby annuncia «di aver dato mandato ai propri legali di denunciare alla Procura della Repubblica i gravi fatti calunniosi contenuti nel ricorso alle procedure concorsuali presentato da alcuni fondi di investimento a carattere speculativo».

La vicenda ha acceso i riflettori sui rapporti tra armatori e mondo finanziario. Assarmatori è scesa in campo per precisare che i rapporti con la finanza vanno riscritti perché «le compagnie di navigazione italiane non possono essere terra di conquista per azioni speculative, mirate a negare la continuità e a minare i livelli occupazionali dei lavoratori e della gente di mare sulla flotta che batte la bandiera nazionale e garantisce servizi pubblici essenziali». Stefano Messina, il presidente, ha continuato: «Nell'affermare con forza la posizione dell'Associazione a sostegno incondizionato non solo di uno dei suoi associati, ma anche di una delle realtà storiche più importanti della flotta italiana, il caso Moby rappresenta la conferma, purtroppo acuta, di un momento particolarmente delicato nei rapporti fra finanza e shipping. Un momento prosegue il presidente che richiede un ripensamento globale e forse anche la definizione di un nuovo quadro di regole. Lontani ormai i tempi dei rapporti lineari fra gruppi armatoriali e banche disposte e in condizione di sostenere lo sforzo imprenditoriale e di investimento nel rinnovamento delle flotte, ora un'industria così capital intensive come quella del mare e così essenziale per gli equilibri strategici dell'economia e dell'interscambio mondiale non può essere abbandonata ai venti di tempesta della speculazione». Per Messina «ben vengano nuovi player finanziari in grado di sostenere anche gli sforzi che i gruppi armatoriali come Moby stanno ad esempio affrontando nel campo della tutela dell'ambiente, ma è oggi necessario che questi gruppi cessino di considerare le navi, le rotte marittime e specialmente i marittimi, alla stregua di un gioco di Monopoli».
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