Padula (Covip): «Pensioni, doveri e obblighi per non restare ultimi»

Padula (Covip): «Pensioni, doveri e obblighi per non restare ultimi»
Padula (Covip): «Pensioni, doveri e obblighi per non restare ultimi»
di Marco Barbieri
Mercoledì 4 Agosto 2021, 06:58 - Ultimo agg. 13:12
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Mario Padula, presidente della Covip, la Commissione di vigilanza sui Fondi pensione, ci tiene a cominciare con un caveat: «Sgombriamo subito il campo da un equivoco. L’educazione alle scelte in ambito finanziario, assicurativo e previdenziale è fondamentale ma non può sostituire una buona regolamentazione e una attenta vigilanza il cui scopo è appunto promuovere e realizzare le migliori condizioni in cui quelle scelte si possono attuare. D’altro canto, va tenuto presente che anche un’ottima educazione alle scelte non fa di noi dei trader, come imparare a scrivere non fa di noi degli scrittori». Chiarito e premesso.
Padula, di pensioni si discute spesso. Ma non è detto che l’educazione previdenziale sia più praticata dell’educazione finanziaria, pur essendo forse la prima un “di cui” della seconda. O c’è una originalità propria dell’educazione previdenziale?
«È indispensabile possedere alcune semplici ma fondamentali nozioni per scegliere in modo consapevole un mutuo, una polizza assicurativa o un piano pensionistico. Queste nozioni, tra le quali spiccano quella di interesse composto, del principio di diversificazione e di inflazione, sono trasversali ai diversi ambiti di scelta, quello meramente finanziario, quello assicurativo e quello previdenziale. Ci sono poi temi di carattere più strettamente previdenziale che hanno rilievo non solo per le scelte in quell’ambito, ma che costituiscono il presupposto per una piena cittadinanza economica».
Faccia un esempio.
«A nessuno dovrebbe sfuggire che in un regime pensionistico a ripartizione, come il nostro primo pilastro, più bassa è l’età pensionabile di una generazione, maggiore dovrà essere la contribuzione o l’età pensionabile delle generazioni successive; tanto più quanto meno crescono economia e popolazione. Più banalmente, a un vantaggio per una generazione si contrappongono svantaggi per altre, più giovani generazioni». 
Vale già come una prima lezione generale. Quali luoghi e quali momenti potrebbero essere più propizi all’educazione previdenziale? Scuola, lavoro, siti e social media...
«Le nozioni di base andrebbero acquisite prima possibile, cominciando dalla scuola. Naturalmente, meglio tardi che mai, quindi ben vengano programmi di educazione alle scelte previdenziali in ambito lavorativo. In ogni caso, non si tratta di acquisire solo delle nozioni ma piuttosto un’attitudine critica, che rileva non solo per le scelte in ambito finanziario, assicurativo o previdenziale. Se in banca mi propongono di investire tutta la liquidazione in un singolo prodotto finanziario, magari emesso da quella stessa banca, vale sempre la pena di farsi una domanda semplice e antica: “A chi giova?”. Naturalmente, come ho premesso, l’educazione finanziaria non ridimensiona la funzione e le responsabilità delle autorità preposte a regolare e vigilare. La maggiore consapevolezza nelle scelte cui dovrebbe condurre, rappresenta viceversa un ulteriore elemento di crescita del sistema nel suo complesso, regolatori e vigilanti compresi».


In questo percorso educativo che ruolo spetta ai Fondi pensione? E alle Casse previdenziali?
«Per fare scelte consapevoli, occorre formazione e informazione.

Qualunque ente previdenziale deve anzitutto produrre informazione sulle prestazioni previdenziali. I fondi lo fanno sospinti dalla regolamentazione in materia di trasparenza, mentre più variegata è la situazione delle Casse che di tale regolamentazione sono sprovviste. Per quarto riguarda l’Inps, che come le Casse eroga prestazioni previdenziali sulla base di contribuzione obbligatoria, è importante che sia dato nuovo impulso al progetto della cosiddetta “busta arancione”».

Informazione, educazione, comunicazione: quale nesso fra i tre momenti?
«La formazione non basta senza l’informazione. Spetta ai regolatori decidere sul modo in cui l’informazione viene diffusa da chi la possiede, ai vigilanti di verificare che le regole siano seguite. Tutto concorre a determinare scelte consapevoli. Detto questo, le scelte non devono solo essere consapevoli ma anche rispondere agli obiettivi di chi le compie. Bisogna evitare le trappole dell’informazione eccessiva. Esiste una overdose informativa da evitare. Ancora una volta sarà il regolatore e il vigilante a imporre nella produzione dei documenti informativi, quelli rilevanti per l’informazione obbligatoria».
Educazione previdenziale e orizzonte europeo: in che cosa può aiutare la dimensione europea della nuova previdenza complementare? Si può immaginare una sorta di direttiva europea, analogicamente a quanto avviene per i sistemi di regolazione?
«La domanda di conoscenza necessaria per operare una scelta consapevole tra alternative disponibili cresce all’aumentare delle alternative disponibili. In questo senso, l’ampliamento dell’offerta di prodotti previdenziali renderà ancor più necessarie formazione e informazione. Ma non credo ci si debba aspettare qualcosa di simile a una direttiva europea. C’è un carattere spiccatamente nazionale nelle legislazioni previdenziali, e quindi credo che anche in questo caso il percorso debba essere nazionale.-
Ci sono benchmark stranieri a cui ispirarsi?
«Sì, ci sono molti esempi cui rifarsi. Va detto che il disegno della strategia nazionale per l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, di cui si sta occupando il Comitato diretto dalla professoressa Annamaria Lusardi, ha certamente preso a riferimento, ed in molti casi rielaborato in modo originale, le buone pratiche internazionalmente adottate. Resta il fatto che le diverse legislazioni nazionali in tema di previdenza, impongono strategie di educazione differenziate».
Più educazione previdenziale vuole anche dire più iscritti alla previdenza complementare?
«Non credo sia questo lo scopo dell’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale. La migliore formazione genera scelte più consapevoli. Se poi indirettamente questa consapevolezza indurrà più persone a iscriversi alle forme di previdenza complementare, sarà un beneficio complessivo del sistema».

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