Fitoussi:«Ridurre le tasse è possibile
il governo abbia più coraggio»

Fitoussi:«Ridurre le tasse è possibile il governo abbia più coraggio»
di Nando Santonastaso
Martedì 15 Agosto 2017, 09:21
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Per Jean Paul Fitoussi, economista francese ma italiano ormai acquisito (il 19 agosto prossimo sarà a Ravello nell’ambito degli «Incontri») che l‘Italia sia ormai fuori dalla crisi «è una certezza». Ma non al punto, spiega, da farci illudere che la strada d’ora in avanti sarà tutta in discesa specie «se non sarà più coraggio nelle scelte su giovani, tasse, crescita», aggiunge.

Quindi, professore, gli indicatori economici di questi ultimi tempi, dal Pil agli investimenti privati, sono credibili? L’Italia ha messo la freccia e imboccato la strada della ripresa?

«È vero, l’Italia ha ripreso a crescere ma non dobbiamo prendere questi dati come una grande vittoria».


E perché?

«Perché, è quasi paradossale dirlo, l’Italia doveva uscire dalla crisi già qualche anno fa e invece è diventata il Paese europeo che in crisi c’è rimasto per il tempo più lungo».


Per effetto di cosa, professore?

«Per effetto di due tendenze contrapposte: la crisi finanziaria e quella in Europa del debito sovrano. Le politiche italiane si sono mosse in direzione contraria rispetto a quello che si poteva fare».


Ma non al punto da impedire il recupero in termini di Pil e di credibilità in Europa...


«Certo, ma l’Italia è uscita tardi dalla recessione e soprattutto a bassa velocità come del resto è accaduto a quasi tutta l’Europa. Ricordo che prima degli anni ‘90, quando c’era un tasso di crescita del 6%, ogni minimo miglioramento non faceva quasi notizia. Oggi basta uno zero virgola qualcosa per festeggiare. E in fondo è anche giusto visto che eravamo alla disperazione perché la crisi ha colpito le famiglie, le imprese, l’occupazione: è normale che anche un piccolo raggio di sole faccia bene».

Ci si chiede ora cosa dovrebbe fare il governo per irrobustire questa tendenza e prevenire eventuali rischi di nuova recessione: lei cosa pensa che deciderà?

«Il governo italiano ha fatto quello che ha potuto e quello che era consentito dalle regole europee. E bisogna dare atto al governo di avere provato spesso a convincere Bruxelles che certe regole andavano cambiate. Adesso la ripresa non è molto più grande di due anni fa e quindi non si può accelerarne la velocità. Ma il settore privato che ha dimostrato tuta la sua capacità di resilienza in questi anni, è pronto a ripartire. È in fondo anche una questione filosofica...».

Si spieghi, professore.

«Il settore privato ha fatto tanti profitti in tutta l’Europa in questi anni e dunque adesso ha molto da investire».

Eppure a questa spinta, che peraltro si intravede anche nel Mezzogiorno almeno in parte, continua a non corrispondere un vero incremento dell’occupazione. Perché?

«Io credo che c’è sempre un periodo, quando si manifesta una ripresa economica, in cui non si crea molta nuova occupazione. Bisogna aspettare una seconda tappa, ovvero che la gente capisca che la ripresa è sostenibile e dunque che può tornare a investire e a ottenere contratti di lavoro a tempo indeterminato. È il ciclo della produttività: quando va male le imprese non licenziano la quantità di produzione che è servita in condizioni normali perché alla ripresa è sempre molto difficile ritrovare certi lavoratori e la loro competenza. C’è una “occupation saving”, per essere più espliciti, che nella prima tappa impedisce nuove assunzioni».

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