Furbetti sospesi e già rientrati: la stretta anti-104 è troppo soft

Furbetti sospesi e già rientrati: la stretta anti-104 è troppo soft
di Nando Santonastaso
Sabato 7 Aprile 2018, 09:54 - Ultimo agg. 13:34
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La stretta c'è stata ma evidentemente non è bastata. Perché il caso scoperto in Sicilia dei dipendenti pubblici che si fanno adottare da un anziano disabile per ottenere il permesso previsto dalla legge 104; o quelli ormai quasi quotidiani dei furbetti del cartellino, sorpresi a far di tutto fuorché il loro dovere nelle ore di lavoro, dimostrano che in Italia inasprire le norme e le sanzioni non spaventa (quasi) nessuno. Lo dimostrano i numeri: da quando è scattata la legge Madia nei confronti del personale assenteista della Pubblica amministrazione, ovvero dall'estate del 2016, ci sono stati 45 licenziamenti, che non sono pochi considerato che la legge non può essere retroattiva e che i tempi dei procedimenti giudiziari sono spesso un'incognita. Sembra inoltre che le procedure attivate in tutta Italia e ancora in corso siano decisamente molte di più, anche perché solo dalla scorsa estate è stato introdotto l'obbligo per le amministrazioni di comunicare via web la conclusione e l'esito dei procedimenti entro 20 giorni dalla loro adozione. Di sicuro ammontano a parecchie centinaia qualcuno suggerisce 1.600 ma il dato è da prendere con le molle perché non è ufficiale i provvedimenti di sospensione, senza stipendio, che corrispondono alla prima fase dell'intervento sanzionatorio adottato da un dirigente pubblico nei confronti di chi è stato colto in flagranza.

Perché questa differenza? Perché non tutti i casi sono uguali davanti alla legge e perché non tutti i dirigenti ritengono di dover ricorrere alla misura più drastica nonostante il fatto che essa sia espressamente prevista, e dunque imposta, dalla legge. Il decreto anti-furbetti del cartellino stabilisce infatti che il dipendente del Pubblico impiego beccato mentre timbra il cartellino per sé o per altri colleghi di lavoro per poi uscire dall'ufficio e andare a fare la spesa, tornare a casa o impegnarsi in un secondo lavoro può essere sospeso entro 48 ore. Il dipendente avrà a questo punto 15 giorni di tempo per difendersi dalle accuse e altre due settimane per essere giudicato colpevole o innocente. In 30 giorni, insomma, l'istruttoria dev'essere completata: il dipendente nel mirino subisce la sospensione anche dello stipendio ma avrà il diritto di vedersi riconosciuto un assegno alimentare pari alla metà della retribuzione base per non togliere alla famiglia quella che spesso è l'unica fonte di reddito. Se il suo dirigente omette di attivare la procedura diventa egli stesso passibile di licenziamento mentre fino a prima del nuovo decreto rischiava al massimo la sospensione.
 
Com'è facile intuire è molto più facile procedere con la sospensione che far scattare il licenziamento anche perché la giurisprudenza italiana in materia sembra spesso fatta apposta per scoraggiare chi ha la certezza di poter ricorrere al taglio drastico dal lavoro. Numerose le sentenze della Cassazione che hanno sancito quella che gli esperti ritengono ormai una tendenza consolidata: «Il lavoro è bene primario che va tutelato in via prioritaria», si legge in una di queste sentenze. Ma «una condotta infedele che abbia i caratteri della sporadicità non giustifica misure gravi e drastiche come quella del licenziamento».

Dunque, avanti tutta con cautela viene da dire, con buona pace di chi sognava che uno dei più odiosi comportamenti-reati made in Italy avesse finalmente le ore contate. «Attenti però a fare di ogni erba un fascio», avverte Angelo Marinelli, segretario nazionale della Funzione pubblica Cisl. E spiega: «Dopo otto anni di blocco del rinnovo contrattuale, bisogna smetterla di criminalizzare i circa 3 milioni di dipendenti pubblici come si tenta di fare anche in queste ore. Nessuno di noi ha mai pensato di difendere casi di utilizzo fraudolento di permessi come nel caso della 104 scoperto in Sicilia ma non possiamo continuare a sentirci come se fossimo tutti una massa di fannulloni o di delinquenti incalliti. Molti contenziosi giudiziari, peraltro, producono sentenze decisamente diverse da quelle che l'opinione pubblica immagina all'inizio del procedimento».

Non è un caso che i rinnovi contrattuali del pubblico impiego abbiano previsto espressamente la centralità di controlli e monitoraggi bilaterali (Pa-sindacati) specie in concomitanza di festività, picchi di lavoro aziendale (si pensi alle Agenzie delle entrate durante le campagne fiscali), malattie. Chi non rispetta la legge subisce, ad esempio, proprio a norma di contratto, il blocco dei trattamenti economici accessori. Gli stessi che la legge Brunetta prevede per i casi di malattie fino a dieci giorni. E che la stretta sui dipendenti pubblici sia tutt'altro che virtuale lo dimostra anche il fatto che mentre in passato era possibile ottenere un giorno di assenza per malattia in occasione di una visita diagnostica, oggi si possono ottenere solo permessi specifici e comunque per un massimo di 18 ore all'anno. Anche sulla cosiddetta fascia di reperibilità lo scenario è mutato: il limite orario è stato aumentato a otto ore nonostante il parere contrario dei sindacati. «Quello che si poteva fare è stato fatto, casi sporadici non possono annullare questo processo» dice Marinelli.

Eppure, basta guardare un po' di numeri, aggiornati, per capire cosa vuol dire in Italia mettere in discussione persino una legge giusta come la 104 dove il ruolo delle famiglie non solo è utile ma addirittura indispensabile per l'assistenza di congiunti in condizioni di disabilità.

Nel solo settore privato (nel pubblico non ci sono statistiche aggiornate: ed è quanto dire) l'Inps certifica un trend molto chiaro: l'uso di questi permessi è in costante crescita e, in quattro anni, fra il 2012 e il 2016, l'aumento dei beneficiari è stato del 30%. Da 358.297 si è arrivati a 462.952 su una platea di lavoratori privati pari a circa 19 milioni. Per la cronaca, Umbria e Lazio sono in testa a questa classifica (in rapporto al numero dei lavoratori privati) facendo un uso della legge 104 volte maggiore della Sicilia dove pure - è notizia di questi giorni sono migliaia i dipendenti regionali che ne usufruiscono (ma il rapporto con i privati è più alto). Nel pubblico, l'impossibilità di avere dati tempestivi dalle varie amministrazioni, obbliga l'Inps a ragionare per stime: l'uso questi benefìci sarebbe quattro volte superiore. E una piccola spia a proposito della scuola sembrerebbe dimostrarlo: secondo uno studio di Tuttoscuola elaborato in base ai dati del Miur si registra una media nazionale del 10% di docenti di scuola superiore trasferiti nell'anno scolastico in corso in base alla 104. Ma si va dal 2,3% del Nord est al 23,5% della Sicilia e al 24% della Calabria. E se si guarda alle materne alle primarie il divario diventa enorme: il 90% delle richieste di trasferimento ha riguardato il Sud con Campania, Sicilia e Calabria ben oltre il 65%.

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