Hanno lavorato tutta la notte e alla fine l'intesa è arrivata. Dopo giorni di stallo e una situazione che sembrava non prendere più abbrivio, stamane in Tribunale a Milano l'amministratore delegato di ArcelorMittal Lucia Morselli e i tre commissari dell'ex Ilva, Francesco Ardito, Alessandro Danovi e Antonio Lupo hanno firmato un 'heads agreement' che getta le basi per la negoziazione che ha come deadline il prossimo 31 gennaio e che ha lo scopo di portare ad un piano industriale per il rilancio del polo siderurgico con base a Taranto. Piano che, passando attraverso la ristrutturazione del vecchio contratto tra gli indiani e l'amministrazione straordinaria, vede anche la creazione di una «newco» e «tecnologia verde».
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Oggi, giorno dell'udienza sul ricorso cautelare e d'urgenza per fermare l'addio della multinazionale che lo scorso 4 novembre aveva annunciato di voler sciogliere il contratto di affitto e di acquisto, prima del rinvio al prossimo 7 febbraio disposto dal giudice Claudio Marangoni, su richiesta congiunta delle parti, Procura compresa, c'è stata la firma a quelle poche paginette scritte in inglese per mettere un punto fermo e andare avanti per cercare di salvare l'azienda.
Nella sede della 'Libera associazione forense' al primo piano del Palazzo di Giustizia, si è presentata l'ad Morselli per sottoscrivere con i commissari l'agreement. «Siamo abbastanza soddisfatti, abbastanza perché questo è solo un pre-accordo, ora c'è un percorso da fare, ma ci sono elementi per poter lavorare», ha commentato Claudio Sforza, dg dell'Ilva in amministrazione straordinaria. «Abbiamo lavorato tutta la notte per un accordo nell'interesse del Paese, dei creditori e dei lavoratori», ha aggiunto Danovi. Morselli, invece, davanti a telecamere e taccuini è rimasta muta. Salvo, poi, intervenire in aula per «ribadire gli impegni assunti nella scorsa udienza», ma con riserva in quanto sul tavolo c'è la questione del'Altoforno 2: lo scorso 10 dicembre, è arrivato il provvedimento con cui il giudice di Taranto ha negato la proroga al suo utilizzo e ora si è in attesa dell'esito del ricorso al Tribunale del Riesame che dovrebbe arrivare nella prima settimana di gennaio.
E se dovesse essere confermato lo stop di AfO2, le ricadute potrebbero essere ben più pesanti: il conseguente blocco degli altri due impianti con le stesse caratteristiche e una calo notevole della produzione. Una questione, quindi, che si intreccia con il piano di rilancio su cui, salvo colpi di scena, si andrà avanti a trattare sulla base del canovaccio abbastanza generico - non si parla di esuberi, né si mette nero su bianco l'impegno economico che viene assunto -sottoscritto questa mattina. Il «nuovo green deal», che si apre con la premessa del Governo a mantenere i livelli occupazionali, prevede, oltre alla soglia di produzione dell'acciaio fissata in 8 milioni di tonnellate all'anno entro il 2023, l'istituzione di una newco composta da soci pubblici e privati, che punterà ad investire in impianti a tecnologia verde (implementando il sito industriale di Taranto), abbandonando quindi il carbone. Cosa che, da un lato, potrebbe portare a modificare il piano ambientale e a un ulteriore «accordo sindacale coerente» con il piano. Questo, quindi, l'accordo di massima.
Nel caso in cui non dovesse andare a buon fine e franare, si andrà avanti con la causa civile incardinata davanti al giudice Marangoni che ha dato temine per il deposito delle memorie di replica e controreplica ai legali dei commissari entro il 20 gennaio e a quelli di Mittal entro il 31.