L'Italia senza figli: Mezzogiorno a grandi passi verso il collasso demografico

L'Italia senza figli: Mezzogiorno a grandi passi verso il collasso demografico
di Marco Esposito
Mercoledì 12 Febbraio 2020, 07:00 - Ultimo agg. 18:17
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«Non ci sono significativi cambiamenti», dice l'Istat raccontando il 2019. Ma in tale caso nessuna nuova non vuol dire buona nuova. Perché la cattiva notizia è proprio che continuiamo a precipitare senza che si intraveda alcuna scossa per invertire il trend demografico. L'Italia si sta facendo ogni giorno più piccola: nascono 1.020 italiani e ne muoiono 1.750 con gli stranieri che correggono di poco lo squilibrio; mentre il Mezzogiorno, un tempo riserva di energie giovani, sta sparendo ancor più velocemente, con il Molise e la Basilicata che in dodici mesi hanno perso oltre l'1% della popolazione. All'estremo opposto ci sono le due province autonome di Bolzano e di Trento, dove l'aumento dei residenti nel 2019 è dello 0,5% e dello 0,36%. Un segnale di speranza ma comunque la crescita si è dimezzata rispetto a una decina di anni fa.

Perché il Sud perde abitanti? Dal Mezzogiorno si emigra, certo. Però nella storia dopo l'unità d'Italia questa non è una novità. Il fenomeno inatteso e un tempo imprevedibile è la drammatica flessione della natalità. Ogni donna (ma forse sarebbe preferibile iniziare a dire ogni coppia) al Sud nella sua vita ha appena 1,26 figli mentre al Nord si arriva a 1,36 con un picco a Bolzano di 1,69. La minore fecondità del Mezzogiorno è anche dovuta alla presenza ridotta degli stranieri (il 4,4% della popolazione contro l'11% del Centronord) e però non si deve pensare che le donne straniere abbiano chissà quale propensione a far figli: l'indice nel 2019 si è attestato all'1,89 per donna contro l'1,94 del 2018 con un'età al parto che l'Istat curiosamente definisce «precoce» come ad accettare l'idea che prima dei trent'anni non si debba pensare ai figli visto che il dato è 29,1 anni, non molto sotto i 32,6 anni delle italiane.

Sono tutti valori, quelli della fecondità, inferiori a quello ideale di 2 figli per coppia che in Europa si registra soltanto in Francia; tuttavia nel Mezzogiorno, uniti alla migrazione e al flusso modesto di stranieri, portano allo spopolamento e all'invecchiamento della popolazione che resta.

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L'età media, nota l'Istat, nel Mezzogiorno è ancora relativamente più giovane, con 44,6 anni contro 46,2 anni del Centronord tuttavia la forbice si sta per chiudere e il Sud va «a grandi passi verso un profilo di età più anziano». La sintesi dell'Istituto di statistica? «Bassa natalità, relativo minor impatto delle migrazioni con l'estero, fuga dei giovani verso il Centronord stanno alimentando oltre misura il processo di invecchiamento». Non siamo ancora al punto di rottura, quindi, ma ci siamo vicini. Il tempo per reagire è adesso.

Ma perché il Sud ha smesso di fare figli? Una spiegazione ricorrente è che ci sono meno opportunità di lavoro e minori servizi sociali. Tuttavia i tassi di fecondità nel Mezzogiorno sono troppo simili a quelli di aree ricche del Nord per potersi giustificare con la mera spiegazione economica. Per esempio il tasso di fecondità è di 1,34 figli per coppia a Milano e di 1,36 a Napoli; di 1,34 a Reggio Emilia e di 1,31 a Reggio Calabria. C'è insomma un fenomeno sociale, diffuso e trasversale, che spinge le giovani generazioni in Italia come in molti paesi europei a rinviare il momento della responsabilità familiare, dimenticando che la fecondità di una coppia dipende non poco proprio dall'età: nelle nascite si può programmare il no, ma non si può avere certezza del sì.

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Tuttavia neppure si può affermare che sostegni economici e servizi per l'infanzia come gli asili nido non contino nelle scelte di una coppia. E la controprova arriva proprio dall'Alto Adige, dove il tasso di fecondità è in ripresa, all'1,69 figli per coppia rispetto all'1,57 di dieci anni fa. La Provincia autonoma di Bolzano ha dato vita a una vera e propria Agenzia per la famiglia che prende per mano i genitori informandoli su tutte le agevolazioni cui hanno diritto, sia nazionali, sia locali, molto sostanziose. Ci sono iniziative se si vuole banali, come un numero verde che risponde a questioni del tipo «Il mio bambino a volte mi dà sui nervi!» come si legge nell'opuscolo «Ben arrivato bebè». E ci sono interventi concretissimi. Il più generoso è un assegno di 200 euro mensili per figlio per tutte le famiglie con reddito fino alla soglia di 80mila euro annui. Una soglia altissima, se si considera che l'analogo sostegno previsto a livello nazionale si perde oltre i 17mila euro annui di Isee. Il bonus di 200 euro vale fino ai 36 mesi del piccolo, quindi 7,200 totali, tuttavia quando il bambino cresce lo strumento si trasforma e resta fino ai diciotto anni, sia pure con importi più modesti e con una soglia di reddito meno elevata ma comunque decisamente alta: 48mila euro con due figli.

Gli incentivi sono così generosi da far venir voglia di trasferirsi in Alto Adige. Ma, attenzione, la Provincia autonoma ha deciso che le agevolazioni spettano solo dopo «cinque anni ininterrotti di residenza in Alto Adige antecedenti alla presentazione della domanda». Una regola che lede il diritto di libertà di circolazione per cui l'Unione europea ha imposto che per i cittadini di altri Paesi Ue sia sufficiente «dimostrare di avere un rapporto di lavoro in Alto Adige» per avere il bonus. Perciò un tedesco, un portoghese o un bulgaro che va a lavorare in Alto Adige è trattato da subito come un sudtirolese, mentre un veneto, un campano o un calabrese è un extracomunitario. Fino al primo ricorso.
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