Mes, l'economista Imbriani: «Fondi utili ma così l'Italia rischia di indebolirsi»

Cesare Imbriani, professore di economia politica alla Luiss e a UniTelmA Sapienza
Cesare Imbriani, professore di economia politica alla Luiss e a UniTelmA Sapienza
Sabato 16 Maggio 2020, 09:34 - Ultimo agg. 09:58
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«Il credito agevolato che otterremo con il Mes è sicuramente un fatto positivo ma restano tutti i condizionamenti dovuti alla perdita di potere contrattuale dell’Italia, soprattutto in tema di unione bancaria europea». Cesare Imbriani, professore di economia politica alla Luiss e a UniTelmA Sapienza, di cui è stato il primo rettore, non ha dubbi. Ragionando da economista, e ci tiene a sottolinearlo, scorge le insidie degli aiuti europei al nostro Paese. Con una Germania sempre in agguato per imporre il suo predominio nell’Unione.

Professore, quindi malgrado non ci sia il più il rischio per l’Italia di diventare un sorvegliato speciale della Troika, non possiamo dire che abbiamo superato tutti gli esami europei? 
«Il problema è che diventiamo un Paese normalmente debitore, perdendo così forza per discutere da pari a pari con gli altri partner su questioni cruciali per noi. Tra queste, la più importante, come dimostra la recente sentenza della Corte costituzionale tedesca, è il completamento dell’Unione bancaria che non si riesce a realizzare per la posizione intransigente assunta dalla Germania e da altre cosiddette nazioni virtuose in rapporto alla determinazione della qualità, stabilita attraverso rating, dei titoli pubblici emessi dagli Stati».

Infatti, il verdetto della Consulta tedesca pone anche un’ipoteca sul recente Pepp, l’intervento della Bce per l’emergenza Covid attuato con l’acquisto di titoli pubblici.
«Sono convinto che alla fine debba prevalere la legislazione europea su quella di un singolo Paese. Ma non è un caso che la sentenza della Corte tedesca abbia evidenziato proprio il problema che non consente di risolvere il grande nodo per fare il passo decisivo verso l’Unione bancaria».

Parliamo quindi del terzo pilastro dell’Unione, l’assicurazione unica dei depositi che servirebbe a rimborsare i piccoli risparmiatori di banche liquidate con il denaro proveniente dall’intero sistema bancario europeo. I tedeschi vorrebbero introdurre nuovi requisiti patrimoniali legati al rating e alla quantità dei titoli di Stato detenuti dalle banche. È vero?
«Esattamente. Giacché le banche italiane hanno quantitativi ingenti di titoli pubblici italiani verrebbe così declassata la qualità della loro capitalizzazione e della loro operatività. Ciò si rifletterebbe sulle imprese e sull’intero sistema produttivo italiano. Ed è inaccettabile».

Dall’Europa agli Usa. Lei ha fatto notare che l’intervento di supporto della Nato nell’emergenza Covid cela nuovi condizionamenti.
«Non bisogna dimenticare che l’allargamento della Comunità europea fu un allargamento dei confini di operatività della Nato. Gli Usa avevano piacere di inglobare gli ex Paesi del Patto di Varsavia nel loro sistema ed è ben noto il loro atteggiamento molto critico nei confronti della Comunità europea. La Nato è una testa di ponte degli interessi economici degli States».

Da economista quale atteggiamento si sente allora di suggerire a Roma?
«Visto il rapporto privilegiato che abbiamo con la Nato, dovremmo far valere il nostro ruolo in un momento in cui gli altri partner europei hanno assunto una posizione differenziata. Mentre la Germania vuole rafforzare il rapporto, la Francia punta su una maggiore autonomia. Noi potremmo svolgere così un ruolo di equilibrio».

In conclusione, su quale strategia di politica economica puntare?
«Il nostro Paese ha di fronte una sfida importante. Arriveranno risorse da ambiti tradizionali come i prestiti Bei. Determinante sarà l’intervento del Recovery Fund ed è già stato attivato quello del Sure per la cassa integrazione. Poi ci saranno i circa 35 miliardi del Mes. L’efficacia della spesa dipenderà dalle nostre capacità. Dobbiamo dimostrare di saper mettere a regime la qualità della spesa che ci verrà messa a disposizione. E qui ci scontriamo con la burocrazia che finora non ha reso operative le funzioni. Il caso del ponte di Genova è un esempio per tutti e pone la questione dei giusti controlli senza dare fastidio all’impresa».
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