Mezzogiorno, tracollo demografico: perderà centomila abitanti l'anno

Mezzogiorno, tracollo demografico: perderà centomila abitanti l'anno
di Marco Esposito
Venerdì 4 Maggio 2018, 11:07 - Ultimo agg. 13:25
4 Minuti di Lettura
Campania regione più giovane d'Italia? Ancora per poco. Tra dieci anni, nel 2028, cadrà l'ultimo primato positivo della regione, con un'età media che nel 2028 sarà ormai tutt'altro che verde - a quota 45,3 anni - mentre il Trentino Alto Adige le strapperà il primato sia pure d'uno soffio: 45,2. Il destino demografico dell'Italia è stato tracciato ieri dall'Istat in un report a suo modo epocale, che prevede con diversi gradi di probabilità il futuro da oggi fino al primo gennaio 2066. Ed è un futuro a tinte fosche per il Mezzogiorno, il cui spopolamento è già in atto a un ritmo superiore a 100 mila abitanti l'anno e si accentuerà nei decenni a venire fino a precipitare dai 20,8 milioni di abitanti attuale a 15,8 milioni nel 2065: 5 milioni in meno. Per il Centronord la situazione è stabile, con una lunga fase di residenti stazionari intorno ai 40 milioni e un declino che si accentua solo nelle previsioni più di lungo periodo, quando morirà le generazione del baby boom nata negli anni Sessanta. C'è un 30% di probabilità, segnala l'Istat, che il Centronord non cali affatto mentre per il Mezzogiorno il destino è segnato in negativo persino nello scenario più favorevole (e meno probabile).

La Campania, in tale quadro, non fa eccezione. Quella che oggi è ancora una regione dinamica dal punto di vista demografico, vedrà progressivamente aumentare l'età media che dai 42 anni attuali supererà i 50 nel 2049. L'invecchiamento, sia chiaro, è un destino amaro che interessa tutta la penisola ma tra mezzo secolo i giovani italiani e neoitaliani abiteranno soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna, Lazio oltre che in Trentino e in Valle d'Aosta.
 
Quali sono i fattori negativi che pesano sul Mezzogiorno? Sono tre: bassa fecondità, modesto tasso di arrivi di stranieri e flusso di migrazione interna. Tutti e tre hanno la medesima spiegazione: la debolezza economica. La difficoltà nel trovare lavoro e la carenza di servizi sociali hanno come conseguenza un modesto arrivo di stranieri stabili e visto che le donne di nazionalità non italiana hanno i migliori tassi di fecondità, ciò porta anche minori nascite. L'emigrazione interna ha ovviamente la medesima causa e porta un ulteriore calo di nascite, perché fanno le valigie soprattutto le persone in età riproduttiva (25-39 anni). Il flusso migratorio da Sud a Nord diminuirà nel tempo - prevede l'Istat - ma solo perché i meridionali saranno troppo vecchi persino per emigrare.

Al Centronord la situazione sarà meno grave per le ragioni opposte al Mezzogiorno: l'arrivo di stranieri e di giovani meridionali renderà meno rapido il declino. Tuttavia l'invecchiamento della popolazione è una costante ovunque e addirittura nel 2045 la generazione più numerosa sarà quella fra i 70 e gli 80 anni. Effetto del boom demografico che ha toccato il suo massimo nel 1964 e dello sboom demografico che ha registrato trent'anni dopo - nel 1994 - le nascite dimezzarsi da un milione a mezzo milione.

L'Istat avverte che le variabili sono molte e quindi il quadro delle previsioni può avere esiti diversi. Tuttavia il calo di abitanti nel Mezzogiorno e l'aumento dell'età media della popolazione in Italia sono delle certezze in tutti gli scenari. Può cambiare l'intensità del fenomeno ma l'età media degli italiani, che attualmente è già molto elevata a quota 44,9 anni, nel 2065 sarà tra 47,9 e 52,7 anni. Mentre la popolazione del Mezzogiorno, che oggi è di 20,8 milioni di persone pari al 34% del totale, nel 2065 sarà nel range 13,7-17,7 milioni quindi decisamente in contrazione, con un valore medio di 15,8 milioni pari al 29% della popolazione residente in Italia.

Per arrivare a formulare le ipotesi, l'Istat si è rivolta a 24 esperti di demografia tra i quali Giuseppe Gabrielli e Salvatore Strozza della Federico II. Le variabili prese in esame sono il tasso di fecondità (stimato in lieve rialzo), la speranza di vita (immaginata in aumento), l'arrivo di immigrati (valutato tra stabile e in aumento), le migrazioni per l'estero (previste in lieve calo). Nonostante queste stime abbiano tutte effetto demografico positivo, la situazione demografica italiana è gravemente compromessa per registrare un miglioramento del bilancio demografico. Dagli anni Novanta in poi, le donne nate in ciascun anno sono state 200-250mila e non si può immaginare in nessuno scenario plausibile che le coppie abbiano quattro figli in media per bilanciare il milione all'anno di nati dei tempi del baby-boom. Quella generazione numerosa, in questi anni ancora attiva dal punto di vista lavorativo, diverrà un peso per la società negli anni Trenta di questo secolo, finché non uscirà gradualmente di scena per ragioni naturali nel decennio tra il 2044 e 2054.

Nello scenario dell'Istat, il Mezzogiorno perde abitanti in misura copiosa perché si immagina che nei prossimi decenni non cambi molto dal punto di vista sociale. L'Istat infatti fa un'ipotesi di piena convergenza nel tempo tra le differenze socioeconomiche e culturali tra Nord e Sud, ma pone il momento della parità al 2115, cioè tra un secolo. Ecco: se c'è una lezione da trarre dagli scenari Istat è questa: il Sud ha conosciuto tempi di crisi e di migrazioni ma la sua vivacità demografica aveva compensato gli addii. Quella forza si è esaurita. Se il Mezzogiorno non vuole scomparire, deve accelerare la convergenza - altro che 2115! - e trasformarsi in un territorio attrattivo, dove sia agevole fare impresa, lavorare e mettere su famiglia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA