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Archeologia,che affare: grazie al turismo vale 25 miliardi l'anno come un colosso industriale

Nicola Pinnadi Nicola Pinna
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 2 Novembre 2022, 11:13 - Ultimo agg. : 9 Aprile, 23:27
4 Minuti di Lettura

Davanti al tempio di Nettuno, Antonella Pecora interrompe le chiacchiere del gruppo di stranieri che accompagna tra le meraviglie greco-romane di Paestum e si lascia andare alle confessioni: «Noi dobbiamo essere eternamente grati ai nostri avi, sì grati per il tesoro che ci hanno lasciato in eredità. Ci hanno assicurato un lavoro per tanti anni. Noi, in sostanza, siamo ancora loro dipendenti».

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È il jobs act della storia: un contratto a tempo indeterminato con le civiltà che hanno fatto grande l’Italia. Un’industria, forse l’unica, che non ha bisogno di ammortizzatori sociali: materia prima inesauribile, processo produttivo a impatto zero, fatturato a molti zeri e prospettive di crescita ancora ampie. Si guarda al 2023, nel 2022 della ripresa: «Il prossimo anno - dicono direttori di parchi archeologici e studiosi del settore - sarà da boom. Lo dimostrano anche le prime proiezioni sugli arrivi».

LE CIFRE

L’economia diffusa dei beni culturali, dalla Sicilia al ricchissimo Lazio, dalla Calabria al Friuli Venezia Giulia, è fatta di realtà che nei fatti sono aziende. E a sciorinare i numeri dei bilanci, tra città antiche, chiese, musei e piccoli siti si vede con chiarezza l’impatto sull’economia italiana dei tesori millenari che fanno di ogni regione un enorme scrigno. E bastano poche cifre per un quadro: 25 miliardi di affari all’anno (circa dieci da gennaio ad agosto 2022) e 2,6 miliardi di valore aggiunto, cioè la differenza tra l’investimento e l’economia generata. Il settore vale davvero quanto molte industrie: 51mila occupati, 1.155 imprese e 1.073 organizzazioni no profit che però pagano lo stipendio a 5.432 persone. All’orizzonte ci sono solo buone prospettive. «Il brand Italia in questo momento è fortissimo – dice Maurizio Mirone, interior sales manager di Trenitalia - Gli arrivi superano di molto le aspettative. Assistiamo ancora al fenomeno del “revenge travel”, con tante persone costrette in casa per lungo tempo e che non vedono l’ora di partire. Il turismo americano è stato un ritorno importante ed è un segnale fortissimo, che potrebbe portarci a un record assoluto di visitatori dall’estero» I clienti sono fuori dalla porta. I musei e le società che gestiscono grandi rovine e scavi ancora aperti studiano le strategie dell’accoglienza. Esperienze innovative, modelli di successo e progetti da mettere a punto si confrontano ogni anno a Paestum, non lontano dai santuari innalzati dai Greci. Dalla borsa Mediterranea del turismo archeologico emergono le quotazioni della stagione che verrà. «L’Italia presenta una rilevante attrattività culturale: su 100 viaggiatori stranieri che visitano il nostro Paese, 47 sono motivati dalla cultura e dalle città d’arte - racconta Salvio Capasso, responsabile del Centro studi e ricerche per il Mezzogiorno di Intesa San Paolo - La loro spesa esprime il 56% della spesa totale dei turisti stranieri». Dal Lazio, ma soprattutto dall’antica Via Appia, passa la nuova candidatura italiana all’Unesco. Nel nome della “Regina viarum” si sono uniti molti enti: 4 Regioni, 73 Comuni, 15 Parchi, 12 tra Città Metropolitane e Province, 25 Università e 28 uffici del Ministero della Cultura. Lungo i mille e più chilometri del percorso, che da Roma arriva a Brindisi e che include anche la variante traianea, si cerca il bollino di “patrimonio dell’umanità” per costruire un’altra occasione d’oro per arricchire l’affare. Uno dei più grandi laboratori italiani, tra scoperte ancora da valorizzare appieno e tesori da riportare alla luce, è quello che in Sardegna è nato intorno alle statue nuragiche dei giganti di Mont’e Prama. Dal Sinis, dove le sculture ritorneranno presto tutte a casa in un nuovo e attesissimo museo, si punta a trascinare il business turistico di tutta l’isola. A superare il binomio esclusivo tra la vacanza e il mare. «Stiamo costruendo un parco archeologico che racconterà 7 mila anni di storia - racconta a Paestum il presidente della fondazione Mont’e Prama, Anthony Muroni - Partiamo da 170 mila presenze ed entro un anno puntiamo ad arrivare almeno a 200 mila. Da noi ora è in corso il più articolato e stupefacente cantiere archeologico, che mette insieme scoperte e valorizzazione».

LA RETE

Anche la Sicilia fa esperimenti. A Segesta, tra il Tempio Dorico e il Teatro Antico, si tenta di unire attività che apparentemente avrebbero poco a che fare con la scoperta dei resti di antiche civiltà. Eppure, nei 160 ettari del parco archeologico si punta persino sul trekking e si organizzano esposizioni di arte contemporanea. «Nell’area del Belice siamo una delle imprese più solide - sottolinea il direttore del parco, Luigi Biondo - Abbiamo 35 mila visitatori all’anno e tra nuove attività e festival musicali siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo dell’aumento del 20 per cento dell’impatto economico che deriva dai biglietti». Dati anticipati da un incoraggiante più sono anche quelli che a Paestum arrivano dalla friulana Aquileia. «La costruzione di una rete ci sta dando grandi soddisfazioni - dice il direttore della fondazione Cristiano Tiussi - Gestire 22 ettari di aree archeologiche, 3 edifici museali, far lavorare 20 persone e ospitare 60 mila visitatori è un grande risultato, specie in una cittadina di 3500 abitanti. E c’è un dato che spiega bene il valore del turismo archeologico: ogni euro investito si moltiplica per sette nell’economia del territorio».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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