Cop26, come puntare sul climate change senza scottarsi le dita

Cop26, come puntare sul climate change senza scottarsi le dita
di Roberta Amoruso
Mercoledì 3 Novembre 2021, 12:06 - Ultimo agg. 21 Febbraio, 03:03
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Gestire i rischi della transizione climatica e coglierne le opportunità. È questa la sfida dei prossimi anni anche per i mercati finanziari.

E dunque, Cop26, la conferenza internazionale sul clima di Glasgow che si chiude il 12 novembre, è considerata una tappa cruciale per riunire i protagonisti del settore pubblico e privato e accelerare il passo verso gli obiettivi 2030 dell’Accordo di Parigi. Cinque le priorità, quindi altrettante le richieste, da parte degli investitori secondo Stéphane Monier, Chief Investment Officer, Banque Lombard Odier. Investitori ancora disorientati tra l’esigenza di fruttare rendimenti, la responsabilità di sottopesare i settori ad alta emissione di carbonio e la necessità di tenere conto delle molte incertezze sul passo della transizione ecologica, in attesa anche delle indicazioni sul bollino di sostenibilità dalla tassonomia Ue. In primo luogo, va fatta più chiarezza sulla transizione. L’aumento delle temperature globali dovrebbe essere limitato entro 1,5 gradi, è necessario dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 e anche raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. Ma a sei anni dopo la firma dell’accordo di Parigi, si stima che quasi l’80% dell’economia globale abbia obiettivi “net zero” di diversa natura. Gli investitori chiedono dunque più chiarezza sui piani d’azione per raggiungere questo obiettivo. Altrimenti diventa davvero difficile puntare ingenti capitali in un’ottica “net-zero”. «Governi, industria, regolatori e investitori devono collaborare per assicurare un adattamento graduale e un riprezzamento degli asset per evitare che si verifichino choc capaci di minacciare la stabilità finanziaria», avverte Monier. Basta dire che, a proposito dei rischi climatici fisici come inondazioni e incendi, si stima un deficit di copertura assicurativa pari a 227 miliardi. Esempi virtuosi sono invece la scelta del Messico di utilizzare capitale pubblico e privato per assicurare la barriera corallina dai danni causati dalle tempeste, oppure la spinta di alcuni governi sui veicoli elettrici. Secondo punto: va fatto un focus sulla rimozione dei sussidi ai combustibili fossili. Secondo le stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, le rinnovabili devono fornire il 90% dell’energia globale entro il 2050.

Eppure ancora oggi i combustibili fossili rappresentano l’84% del totale. Perché più di un terzo dell’elettricità proviene ora da fonti rinnovabili, ma è più difficile modificare le dinamiche dei trasporti e degli impianti di riscaldamento. Rimuovere i sussidi ai combustibili fossili e offrire incentivi sui prezzi delle nuove tecnologie risulta essere un’altra delle priorità della Cop26. Anche perché i picchi dei prezzi dell’energia dimostrano quanto può destabilizzare il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. La chiave è dunque ancora la partnership pubblico-privato: può finanziare e ridurre il rischio di investimenti a lungo termine, anche nelle infrastrutture verdi, nell’idrogeno pulito e nello stoccaggio di energia. Ma gli investitori devono finanziare le aziende attive nella transizione, non solo quelle nei settori che hanno già basse emissioni.

È incoraggiante notare in questo senso come le valutazioni riflettano sempre più le loro credenziali climatiche. Otto anni fa, ExxonMobil era l’azienda di maggior valore al mondo; a settembre scorso era scesa al 35° posto, mentre NextEraEnergy, società delle rinnovabile, aveva già superato il colosso Usa nel 2020. La terza priorità è il miglioramento dei sistemi di fissazione del prezzo del carbonio. La Cop26 può promuovere un prezzo equo per accelerare la decarbonizzazione. Il Fmi stima che l’80% delle emissioni non siano prezzate. Ecco perché a giugno ha proposto un prezzo minimo del carbonio per pochi grandi emettitori per ridistribuirne i ricavi, far fronte agli aumenti dei prezzi dell’energia e finanziare la mitigazione del rischio climatico. Poi c’è il nodo degli standard comuni di sostenibilità, tra tassonomia Ue e la SFDR visto che non esiste un quadro standardizzato. Infine, serve «una road map e percorsi di investimento più chiari per affrontare sfide come la deforestazione, la salvaguardia della biodiversità e la lotta all’acidificazione degli oceani». La Cop26 può essere un’occasione per discutere come imporre un prezzo equo all’uso delle risorse naturali e promuovere soluzioni basate sulla natura, tra cui l’agricoltura e la silvicoltura. Esplorare per esempio la vendita di crediti di carbonio a chi compensa le emissioni e l’uso delle foreste per assorbire il carbonio, è una priorità per politici, industria e investitori.

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