Moda, Diego Della Valle: «La mia svolta in tre mosse». La strategia di Tod's

Diego Della Valle
Diego Della Valle
di Giusy Franzese
Martedì 22 Dicembre 2020, 12:25 - Ultimo agg. 12 Maggio, 15:29
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Una crisi tremenda che però ha accelerato i processi di riorganizzazione delle aziende. Nel settore del lusso, secondo Diego Della Valle, patron di un gruppo che nel portafoglio vanta brand come Tod’s, Roger Vivier, Hogan e Fay, saranno tre i capisaldi dai quali non si potrà prescindere nel prossimo futuro: il cosiddetto omnichannel a livello di distribuzione, la tempistica con prodotti nuovi sugli scaffali non più stagionali ma quasi a “rullo continuo”, nuove strategie di comunicazione digitale.

Il 2020 per il settore della moda e della qualità - come per la stragrande maggioranza dei settori - è stato un anno da dimenticare. Come è stata la navigazione del suo gruppo in questo mare tempestoso?

«Un anno difficile, ovviamente, soprattutto imprevedibile. Noi quando abbiamo percepito la gravità di quello che stava succedendo ci siamo dati delle priorità. La prima: la salute delle persone che lavorano nel nostro gruppo. La seconda: come arginare un problema di cui non conoscevamo la dimensione e allora abbiamo deciso di far girare meno prodotto possibile non sapendo cosa sarebbe successo ai negozi. Allo stesso tempo abbiamo cercato di guardare a questo secondo trimestre con un po’ di ottimismo e questo ci ha portato ad accontentare la parte di mondo che ha continuato a lavorare e a vivere. A conti fatti i risultati dell’anno sono meno malvagi di quanto ci si potesse attendere».

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Avete fatto ricorso alla cassa integrazione?

«Sì, la cig è stata integrata da noi come gruppo e anticipata ai nostri dipendenti. E sicuramente si dovrà ancora fare ricorso ad un po’ di cassa integrazione. Mi auguro che il peggio sia alle spalle. Intanto abbiamo accelerato i processi di riorganizzazione. A cominciare dai cambiamenti nelle strategie di comunicazione, per trasformarci in un’azienda con comunicazione prevalentemente digitale che parla a un cliente, su alcuni brand, con qualche anno in meno rispetto ai clienti tradizionali. Oggi non si può prescindere dai consumatori giovani di tutto il mondo, soprattutto in Asia, che detteranno le regole per la crescita dei fatturati».

E dal punto di vista della produzione?

«Le nostre aziende fino a ieri preparavano le collezioni con scadenze semestrali, al massimo stagionali, oggi ci stiamo organizzando per avere una tempistica che ogni due mesi produce le novità che vanno in negozio. Prodotti e progetti nuovi con tutta la campagna di marketing conseguente. All’inizio è stato tutto molto complicato, ma quando si è a regime ci sono molte più opportunità di vendita. Come gruppo siamo in una fase avanzata su questi processi e crediamo che l’anno prossimo, soprattutto la seconda parte, ci permetterà di completare questo tipo di organizzazione».

Autorevoli analisti prevedono un recupero nel 2021, non tale però da ritornare ai livelli pre-Covid, cosa che invece potrebbe accadere a partire dal 2022. È d’accordo?

«Penso che ci sarà un primo trimestre da guardare con grandissima attenzione e probabilmente sarà così anche parte del secondo. Mi aspetto che si normalizzino le cose nella seconda parte dell’anno. Questo vale per i mercati europei e in parte americani».

I mercati asiatici?

«Oggi la Cina cresce a doppia cifra e, insieme a Corea e un pezzo di Giappone, sopperisce alla mancanza di fatturati europei e americani. Ci auguriamo che continui così».

L’e-commerce - soprattutto durante i lockdown - è stato l’ancora di salvezza per molti produttori di diversi settori. I dati indicano una vera esplosione del canale di vendita online per i beni di lusso, passato da un’incidenza sul totale delle vendite del 12% nel 2019 al 23% nel 2020. È un fuoco di paglia?

«Il nostro e-commerce, intendo quello fatto direttamente da noi, cresce a doppia cifra, direi anche più alta delle aspettative generali del settore. Abbiamo raccolto un consenso superiore anche rispetto alle migliori previsioni. Comunque noi eravamo già indirizzati verso l’e-commerce. In realtà il concetto è ancora più ampio. A diventare indispensabile è la distribuzione omnichannel, ovvero il consumatore deve trovare il prodotto in tutti i canali in cui cerca e l’azienda deve essere pronta. È un cambiamento epocale, non si torna indietro».

Meglio siti online monomarca oppure garantirsi un posto in prima fila con accordi commerciali come quello recente di Richemont-Artemis-Farfetch su piattaforme multimarca?

«I siti dell’azienda, oltre a governarli direttamente dall’inizio alla fine, danno anche marginalità molto interessanti, però è molto importante stare anche nei siti multibrand. Noi abbiamo rapporti già da tanti anni con le migliori piattaforme e-commerce del settore. Funziona e funzionerà sempre meglio. Per le nuove generazioni è normale acquistare attraverso l’e-commerce».

Alcuni suoi colleghi hanno dichiarato che non parteciperanno alla prossima fashion week di Milano con le classiche sfilate “fisiche”, ma utilizzeranno i canali digitali che consentono di avere milioni di spettatori contemporaneamente. Al di là delle norme anti-assembramento, lei cosa pensa? È l’inizio di una nuova era?

«Sì. Le sfilate una volta erano il centro della comunicazione della stagione, adesso sono tra i tanti canali che abbiamo per comunicare. Qualcuno non le farà più. Altri le faranno, magari contestualmente le trasmetteranno sulle piattaforme di comunicazione digitali così che possano essere viste dal mondo intero».

Il made in Italy di qualità in genere ha sempre camminato sulle proprie gambe. Crede che stavolta sia necessario un contributo dello Stato per la ripartenza del settore?

«Vanno sostenute le piccole imprese, sono quelle meno strutturate e ne hanno più bisogno. Mi riferisco anche alle piccole imprese commerciali. Al di là di un contributo una tantum, va trovato un sistema che permetta loro di uscire da questa situazione. Non sono un tecnico, ma potrebbe essere utile ad esempio trovare un modo per dilazionare i canoni di affitto del negozio con l’aiuto dello Stato che presta del denaro. E poi interventi sul fisco. Altrettanto importante, per quanto riguarda le grandi imprese, sarebbero incentivi per ricerca e sviluppo di prodotti e produzioni da inserire nei progetti del Recovery. Non parlo di regali ma di piani per uno sviluppo a lungo termine. Detto ciò le nostre imprese sono abituate a far da sole».

Molte imprese, nonostante la crisi, sono state vicine ai loro dipendenti e hanno moltiplicato le iniziative solidali. Il suo gruppo è tra questi.

«Credo sia importante il coinvolgimento nel mondo sociale e solidale delle imprese. Noi ci crediamo da vent’anni ancor di più oggi. Le imprese, insieme con le istituzioni dei territori, dei volontari, della protezione civile, possono realizzare progetti mirati e precisi. Diventare il motore di iniziative territoriali forti. Credo che questo valga molto di più di una patrimoniale, non solo in termini economici, ma anche perché non fa sentire le persone sole».

C’è qualche “insegnamento” positivo che si può trarre da questa crisi che ancora stiamo attraversando?

«È tutto precario, effimero e fuori controllo. Questo è l’insegnamento. Un anno fa nessuno avrebbe immaginato una cosa del genere. In questo periodo la dignità delle imprese e delle persone ha fatto la differenza. Mi auguro che i valori della solidarietà siano tornati primari, me lo auguro soprattutto per i giovani».

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