Farmindustria, il presidente Marcello Cattani: «Pay back insostenibile, la carenza dei farmaci si batte con l'autonomia»

Farmindustria, il presidente Marcello Cattani: «Pay back insostenibile, la carenza dei farmaci si batte con l'autonomia»
di Andrea Bassi
Mercoledì 30 Novembre 2022, 13:53 - Ultimo agg. 1 Dicembre, 07:58
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Presidente di Farmindustria Marcello Cattani, sono diversi anni ormai che l’industria farmaceutica italiana è uno dei settori trainanti dell’export. In che modo sta impattando sul comparto l’aumento del prezzo delle materie prime insieme a quello dell’energia?

«Lo stato di salute della nostra industria resta buono.

Siamo leader, insieme alla Germania, per valore della produzione con 34 miliardi di euro. Ma in questo momento, come può immaginare, scontiamo le difficoltà legate all’aumento del prezzo dell’energia e delle materie prime, che sono trasversali a tutti i settori industriali».

In che misura l’industria farmaceutica è stata e viene colpita dagli aumenti?

«Gli aumenti dell’energia elettrica e del gas sono nell’ordine del 600 per cento su base annua. E poi ci sono le materie prime, tutti fattori che concorrono alla produzione per circa il 50 per cento. Ma soprattutto c’è la difficoltà nel reperire i fattori della produzione».

Avete difficoltà a trovare le materie prime?

«Inutile cercare di attenuare il problema, ci sono carenze».

Carenze che possono mettere a rischio la fornitura finale di farmaci?

«Sono carenze legate a farmaci neurolettici, antidepressivi, antipertensivi, antibiotici, antinfiammatori. Carenze che dipendono anche dall’incremento della domanda legata al Covid. Ma il problema principale resta che l’Italia e l’Europa sono esposte per circa il 70 per cento per l’importazione di ingredienti attivi da Cina ed India. A questo va aggiunta la difficoltà di reperimento di carta, vetro, alluminio, ossia tutti gli elementi del packaging primario e secondario dei farmaci. Per i farmaci la carenza riguarda in larga parte quelli di cui è cessata la produzione e che sono stati sostituiti da nuove formulazioni. Poi ci sono altre dinamiche che pesano sul sistema».

Di quali dinamiche parla?

«Prendiamo l’inflazione, nel nostro caso pesa molto la debolezza del cambio con il dollaro. Ricordo che i farmaci critici hanno prezzi negoziati che sono bloccati. Quindi non si possono scaricare minimamente questi effetti a valle verso il consumatore. Oggi per diversi produttori che producono farmaci di ampia diffusione ma che hanno un costo di pochi euro, come quelli che abbiamo citato, il rischio che vi siano chiusure aziendali è molto tangibile».

Lei ha spiegato che i principi attivi sono prodotti soprattutto in Cina e India. Non è possibile avviare politiche di “reshoring” in Europa e in Italia come si sta facendo per esempio con i microchip. In fin dei conti anche i farmaci dovrebbero essere una produzione strategica?

«Le aziende farmaceutiche hanno iniziato a farlo in maniera individuale. Questo è positivo. Ma ora serve una visione di sistema, di filiera, che coniughi le politiche sanitarie a quelle industriali. Ed è proprio quello che chiediamo al governo di Giorgia Meloni. Bisogna considerare che i tempi per fare tutto questo non sono brevi, per questo bisogna darsi adesso una visione strategica».

Che tipo di visione strategica?

«Una visione che ponga la salute e la filiera farmaceutica come infrastrutture critiche per la sicurezza del Paese, per lo sviluppo dell’economia e della tenuta sociale e che consenta progressivamente di intensificare il reshoring. Dobbiamo avere non solo più autonomia nella produzione dei farmaci, e noi siamo il primo paese produttore europeo, ma soprattutto nella produzione degli ingredienti attivi».

Concretamente al governo cosa chiedete?

«Innanzitutto non dobbiamo più parlare di tagli dei prezzi dei prontuari farmaceutici. Se in una fase come questa ci vengono tagliati i prezzi, il sistema non regge. Poi va dato nuovo impulso agli incentivi all’innovazione e a tutti quegli strumenti che possano rendere attrattivi gli investimenti per fare stabilimenti e per fare produzione. E vanno stabilite nuove regole per governare la farmaceutica, ovvero il superamento del pay back e l’adeguamento della spesa al livello di innovazione. Oggi la spesa è sbilanciata sui farmaci ospedalieri non innovativi».

Il pay back, il meccanismo che obbliga le imprese a rimborsare la metà del costo dei farmaci se la sanità pubblica sfora i budget, non è più sostenibile?

«No, non è più sostenibile. Le aziende saranno chiamate a versare 1,3 miliardi. È una tassa reale, aggiuntiva che penalizza gli investimenti e l’attrazione di nuovi capitali».

La manovra del governo stanzia 2 miliardi per il Fondo sanitario. Sono risorse sufficienti?

«È certamente una risposta immediata. Dei due miliardi 1,4 sono destinati al caro-energia per le Regioni, e sicuramente è un aspetto positivo. Alloca 650 milioni per acquistare vaccini e farmaci Covid, e va benissimo perché li tiene separati dalla spesa farmaceutica. Ora bisogna fare un passo in avanti, non solo adeguando il tetto di spesa farmaceutica ospedaliera aumentandolo ulteriormente, ma soprattutto slegandolo definitivamente dalla revisione dei prontuari, cioè dal taglio dei prezzi dei farmaci. Altrimenti saremo sempre in un meccanismo perverso che concorrerà ad aumentare le carenze anziché ridurle».

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